Gianni e l'AI

Era un ordinario mercoledì mattina, Gianni era sollevato di non doversi subire una lunga ed estenuante ora di trasporto pubblico (con tutte le spiacevoli sorprese che può celare l’esperienza) al fine di recarsi all’università. Mai si sentì più grato agli artefici degli orari delle lezioni: non sapeva bene di chi fosse stata l’idea di un giorno libero alla settimana, ma mentre sorseggiava in tranquillità il suo caffè e spegneva di volta in volta le sveglie programmate, gli riservava in cuor suo i più sinceri ringraziamenti. 

Il cielo era cosparso di nubi, al primo frescolino della fredda stagione opponeva la sua fedele copertina e la sua mente, già da fine ottobre in pieno mood natalizio, intonava “All I want for Christmas is you” di Mariah Carey. Tutto sembrava ricondurre al soffice materasso, ma la dose di caffeina che già circolava nel suo corpo e il portatile sulla scrivania gli imponevano di impiegare diversamente le ore a seguire: la sessione era alle porte e lui era spaventosamente indietro con il suo programma di studio. Ancora per metà assonnato ed ovviamente ancora avvolto nella sua immancabile coperta, Gianni, da vero eroe qual era, raccolse tutta la sua buona volontà e si rassegnò ai suoi doveri. 

L’unica magra consolazione gli perveniva dalla materia a cui si stava in quel periodo dedicando: Istituzioni di diritto romano. Per i non giuristi: si tratta di una delle colonne portanti di Giurisprudenza, un must direbbero gli americani e a Gianni affascinava assai. Mentre studiava le pagine del libro di testo, ironicamente soprannominato dal suo professore “il mattone” (proprio ad indicarne la brevità), si immaginava la società romana scorrergli tutt’intorno: i pater familia, gli schiavi, i processi, i negozi. Non si limitava ad uno studio passivo, voleva e sentiva di dover capire: ogni pezzetto l’avrebbe aiutato a ricostruire poi l’immagine finale. Prima di iniziare ad elogiarlo, sia messo agli atti che proprio questa sua volontà sarà il motivo per cui si giocherà quell’intera giornata di studio: la dedizione ha di sicuro i suoi pro ma anche molti contro. 

Giunto al capitolo dedicato alle obbligazioni, tra le fonti delle stesse trovò la cosiddetta “fiducia”. Dopo aver letto e riletto il paragrafo si rese conto di non aver capito l’istituto e quindi decise di non perdere tempo ulteriore e chiedere aiuto a Google. Niente: neanche il marchingegno informatico pareva fornirgli una spiegazione a lui comprensibile. Già in procinto di disperarsi, si ricordò in un istante delle innumerevoli volte in cui sentì lodare un nuovo programma, un certo ChatGPT, a lui descritto addirittura come “invenzione del secolo” e “salvatore di studenti”. Scettico ma curioso, decise di metterlo alla prova. Scaricò l’applicazione, si registrò e domandò all’uomo invisibile di spiegargli in breve e in termini semplici “la fiducia nel diritto romano”. Dopo pochi millesimi di secondo arrivò la risposta: Gianni la lesse ma gli sembrò troppo lontana da tutte le definizioni che aveva incontrato fino ad allora. Aggrovigliò le sopracciglia confuso, aprì il libro e cercò di capire da dove avesse tirato fuori quelle informazioni. Scorrendo le pagine si rese conto che l’ometto-schermo era quel che direbbe un’insegnante del liceo a un colloquio con i genitori: “intelligente, ma non si applica”. Aveva confuso l’istituto della fiducia con quello della fidecommisso (ai non giuristi basta sapere che sono mondi a sé stanti). Sempre più scettico e sfiducioso (nell’innovazione come nel giudizio altrui) decise di dare alla macchina una seconda possibilità, convincendosi che fosse stata la sua domanda imprecisa ad aver fatto sbagliare il sistema e non la goffaggine di quest'ultimo. Scrisse così un secondo messaggio in cui invitava l’interlocutore a prestare attenzione a non confondere la fiducia con la fidecommisso. In vero la richiesta fu accolta, e la macchina si scusò dell’errore ma, a questo gesto lontanamente umano, seguì una seconda definizione dell’istituto in esame che niente aveva a che fare con lo stesso. Aveva nuovamente fatto confusione, questa volta però l’aveva scambiato per la “bona fides” (requisito dell’acquisto del possesso di un bene per usucapione). Dopo un mezzo sorriso isterico, tanti insulti in latino che aveva con garbo trattenuto nei suoi pensieri e dopo avergli augurato un paio di volte di finire condannato a Roma, tagliato in piccoli pezzi e consegnato in sacchetti ai consumatori (sì, non ci sono prove di questa sanzione ma non è nemmeno mai stato negato), decise di tornare agli old ways e riconsultare il suo adorato mattone. Quello che al lettore adesso basta sapere è che il nostro Gianni continuò a leggere e rileggere quell’unico paragrafetto per ore senza risultati, non tanto per la sua difficoltà (che comunque non si nega) ma perché la sua mente continuava a viaggiare altrove. Si immaginò la macchina adoperata nei processi per legis actiones a Roma (processi molto formali e rigorosi in cui si richiedeva la massima puntualità pena l’annullamento del processo stesso): se fosse successo come a Gianni e dinanzi al magistrato la macchina avesse sbagliato istituto, il povero attore anche con tutte le ragioni del mondo, avrebbe perso la causa; al solo pensiero ridacchiò. Pochi giorni prima si ricordò di aver letto di un caso in cui in Colombia un giudice aveva fatto affidamento all’intelligenza artificiale per accelerare il processo di risoluzione della controversia. Gianni pensò, in virtù della sua freschissima esperienza, che forse non fosse stata proprio una grande idea ma decise di tenere per sé il suo giudizio per quando avrà il piacere di prendere il suo posto. Poche settimane prima, in un evento organizzato dalla sua università incentrato sul tema dell’intelligenza artificiale, un ospite aveva riportato una teoria di fine secolo scorso in cui si evidenziano le “ombre” dell’IA: la stanza cinese (di John Searle). Questa teoria (fondata su un esperimento dall’autore personalmente realizzato) mostrava come la macchina altro non sia che un sistema per tentativi ed errori, come risponda sulla base dei dati in essa inseriti e per questo, oltre a non essere per una serie di motivi esattamente l’emblema dell’affidabilità, sia fallibile. “Sapessero questo i miei colleghi, sicuramente rivaluterebbero il loro giudizio” pensò. 

La vastità di questo “ambiente virtuale”, l’oscurità del suo funzionamento, la sua incontrollabilità e la sua innegabile forza sono ancora oggi un punto dolente, Gianni aveva sentito nel succitato incontro come sia difficile pensare ad una regolamentazione esaustiva (l’Italia nel 2023 in tema di contratti pubblici e in seguito l’Europa nel maggio 2024 ci hanno provato facendo fede alla celeberrima tendenza del continente alla certezza, ma c’è ancora troppo terreno scoperto). L’essere umano, constatò Gianni, continua imperterrito a commettere sempre gli stessi errori ma per noia cambia loro le vesti. Prima le armi di distruzione di massa e poi l’intelligenza artificiale: siamo una specie interessante con tendenze suicide, disse tra sé e sé.  

Dal suo tête-à-tête con la più innovativa delle tecnologie, Gianni, però, aveva tratto una riflessione ulteriore di grande importanza: come Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm, aveva anche lui scelto di percorrere la via più veloce lasciando la strada maestra perché riteneva così di arrivare prima a destinazione. A chi non ha avuto il piacere di subire un trauma permanente da questa fiaba, si riferisce che questa scelta ha fatto sì che il lupo travestito da sua nonna inghiottisse la bambina. Se non altro se ne può dedurre che non sempre le strade più brevi siano le migliori.

Stanco e più confuso di prima, Gianni decise allora che per quella giornata avesse dato abbastanza e che fosse giunta l’ora del pisolino pomeridiano rigenerante. In sede d’esame, alla domanda “cos’è la fiducia” (che gli sarebbe sicuramente stata posta dato che era l’unico argomento che non sapeva, e le statistiche in questo sono chiare) decise che si sarebbe appellato al quinto emendamento statunitense onde non incriminarsi da solo (è risaputo: meglio il silenzio e l’ammissione di colpa alla luce dell’insegnamento socratico “so di non sapere”, che un tentativo coraggioso ma fallimentare) accettando poi con gioia l’invito a presentarsi all’appello seguente.

Yasmine Aboutaieb