Gianni e il diritto dello sport

“Ciao Gianni! Ci mancherai tantissimo!”, dicevano i compagni di squadra e l’allenatore, salutandolo tristemente. Era un soleggiato Lunedì di Settembre quando Gianni si diresse per l’ultima volta presso la piscina della sua storica società di nuoto per salutare i suoi amici prima di trasferirsi presso un’altra struttura per iniziare una nuova stagione agonistica. “E’ così strano dirsi «arrivederci» dopo undici anni passati insieme. Vi porterò sempre nel cuore assieme a tutti i momenti condivisi, sia belli, sia brutti. Ci vedremo sicuramente qualche volta: lavoro ancora qui nel weekend!”. Gianni era un nuotatore agonista: si allenava sei volte a settimana per due ore al giorno, aggiungendo altresì 2 ore di palestra il Lunedì ed il Mercoledì e, almeno due volte al mese, le gare nel fine settimana. Nuotava a livello agonistico da quando aveva solo 9 anni e, col tempo, era diventato molto bravo: si era infatti più volte qualificato ai Campionati Italiani di categoria ed ai Campionati Italiani Assoluti. Nonostante la mononucleosi, che lo costrinse a rallettare i ritmi per ben due anni, Gianni non si arrese, non mollò e, continuando a perseverare, si riprese. “Ho imparato a sopportare la sofferenza, il sacrificio, ad apprezzare le piccole vittorie quotidiane ed a crescere interiormente”, ripeteva citando Massimiliano Rosolino, uno dei più grandi campioni della storia del nuoto italiano. “D’altronde, se vuoi avere tutto dallo sport, devi prima dargli tutto” (D. Fioravanti). Nonostante tutto, non aveva mai cambiato squadra. Quella era la prima volta per lui: aveva paura, non sapeva come sarebbe stato accolto e neppure se fosse stato accettato. Gianni stava per iniziare l’Università e sapeva che la strada dall’Ateneo alla sua piscina comunale era troppo lunga per poter arrivare in tempo per l’allenamento, dovendo anche pranzare nel frattempo. Dunque, a Luglio della stagione agonistica precedente, fu costretto, a malincuore, a chiedere il trasferimento al proprio Presidente di società, un uomo anziano e vecchio stampo che subito si agitò al sol pensiero di procedere all’erogazione del nulla-osta societario. “Chissà quante scartoffie dovrò firmare!”, gridava mettendosi le mani tra i capelli bianchi. Come dargli torto: Gianni aveva saputo da alcune sue compagne più grandi di lui, trasferitasi qualche anno prima in altre società, che era necessario inviare, a mezzo di lettera raccomandata a/r, la richiesta di nulla-osta alla Società destinataria affiliata, utilizzando un fac-simile messo a disposizione dalla Federazione Italiana Nuoto (FIN), trasmettendola altresì alla sede della Federazione stessa in Roma, nonché al Comitati Regionali di appartenenza (se si tratta di società collocate in Regioni diverse), ricordando che le richieste inviate al di fuori della finestra temporale prevista dalla FIN sono irricevibili (ai sensi degli articoli 5 dello Statuto federale e 14-15-16 del Regolamento Organico). Inoltre, Gianni impazziva alla sola idea di dover dimostrare e documentare opportunamente le ragioni a fondamento della propria richiesta, pena il rigetto della domanda: infatti, una delle ragazze che voleva trasferirsi e che aveva erroneamente motivato la propria scelta, incentrata sul concetto di “incompatibilità ambientale” a causa del cambiamento dell’allenatore, vide rigettata la propria domanda poiché “la scelta di cambiare allenatori non è sindacabile dagli atleti, tanto più che i tecnici messi a disposizione per gli allenamenti e per la preparazione ai campionati, oltre ad essere dotati delle certificazioni e dei brevetti richiesti, risultano aver fornito adeguata assistenza anche alla giovane” e perché il presupposto della incompatibilità ambientale deve “coincidere con elementi oggettivi e soggettivi, gravi, presenti ed insormontabili” (rispettivamente, decisione n. 14/2018 e 29/2017 della Seconda Sezione del Tribunale Federale). “Capricciosa com’è, avrà sicuramente puntato i piedi per terra e si sarà messa a frignare sia col padre, sia col Presidente”, pensò Gianni, all’epoca appena quattordicenne, che, poco tempo dopo, venne a sapere che la stessa ragazza aveva smesso di nuotare per darsi all’atletica leggera. “Bah, contenta lei” – commentò – “Io non potrei vivere senza nuotare! Il nuoto mi ha aiutato ad esternare la mia timidezza e grazie ad esso conosciuto i miei istinti eli ho gestiti a mio vantaggio” (M. Rosolino). Infatti, Gianni ha da sempre messo anima e grande passione nel suo sport, facendo la differenza non tanto coi muscoli, quanto col cuore. “Io nuoto perché nuotando tutto il mondo cessa di esistere”, ripeteva a sua nonna quando tornava a casa, stremato, dagli allenamenti. Mentre studiava, sentiva l’odore di cloro emanato dalla sua pelle: “un profumo inebriante”, come lo definirebbero molti nuotatori. Di quello stesso “profumo” s’impregnava anche il suo cuscino quando la sera vi si appoggiava ancora coi capelli umidi, donandogli un senso di pace interiore. In ogni caso, il procedimento per ottenere il trasferimento societario, applicabile agli atleti, agonisti-dilettanti, in stato di tesseramento con vincolo definitivo, proprio come lui, risultava essere effettivamente molto articolato. E’ bene rammentare che chiunque intenda esercitare un’attività sportiva a livello agonistico, nell’ambito delle singole Federazioni Sportive Nazionali (FSN) riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), deve necessariamente essere tesserato con una di esse. Il tesseramento è un atto giuridico consensuale e volontario con cui il tesserato acquisisce l’abilitazione all’esercizio dell’attività agonistica nelle competizioni organizzate dalla Federazione, diventando titolare di diritti e doveri previsti dalle normative federali. Con il tesseramento, l’atleta instaura un doppio rapporto giuridico, l’uno con la propria Società Sportiva Dilettantistica (ASD), l’altro con la FIN. La richiesta di tesseramento è considerata atto di ordinaria amministrazione, non presentando le caratteristiche necessarie per una diversa qualificazione, trattandosi di atto che, inserendosi nella vita quotidiana di una persona, possiede una rilevanza economica tale da cagionare un limitato rischio per la consistenza del patrimonio (giurisprudenza più volte confermata a partire dalle sentenze della Corte di cassazione 7546/2003 e 743/2012). Con la sottoscrizione del cosiddetto cartellino sorge il predetto vincolo sportivo, ossia il rapporto che si instaura tra un atleta ed una società sportiva, la quale accetta formalmente al suo interno l’atleta e ne dà comunicazione, secondo le procedure previste, alla Federazione. Attualmente, il vincolo sportivo è in vigore soltanto per i dilettanti e per i giovani, essendo stato abolito definitivamente per i professionisti dall’articolo 16 della legge 91/1981, ritenendolo un ostacolo alla mobilità lavorativa, un’ingiusta limitazione alla libertà individuale ed una lesione dei diritti indisponibili degli atleti poiché cagiona molteplici violazioni a diritti costituzionalmente garantiti (i cosiddetti principi fondamentali). L’atleta dilettante come Gianni, con la firma del cartellino, si vincola ad una società sportiva, accettando una notevole compromissione della propria libertà contrattuale perché, così facendo, potrà svolgere la propria attività sportiva unicamente per detta società, la quale non solo sarà l’unica ad ottenerne le prestazioni sportive, ma che, salvo ipotesi limitate e marginali, avrà il diritto di decidere del suo trasferimento ad altro sodalizio. L’istituto del vincolo ha però anche una funzione utile per lo sport di base, ma solo se non usato illegittimamente, con possibili violazioni dei diritti degli atleti, affinché divenga un istituto proficuo per la crescita di tutto il movimento sportivo. In proposito, sia il Regolamento di giustizia federale, sia le normative del CONI impongono ai tesserati ed alle società affiliate il rispetto dei principi di lealtà, correttezza e rettitudine, morale e sportiva, punendo comportamenti disciplinarmente illeciti, nel rispetto dei principi fondamentali enunciati dalla Costituzione della Repubblica italiana. “Ma che scartoffie! Ormai è tutto digitale! Anche la richiesta di trasferimento di atleta sotto vincolo definitivo! Basta solo collegarsi al sito della FIN con l’account societario e seguire i passaggi online chiaramente e semplicemente indicati”, esordì il padre di Gianni, Vice-Presidente della società, nonché sua medico sportivo di fiducia. In effetti, nessuno sapeva che, sull’apposito portale federale, ci fosse una sezione propriamente dedicata ai trasferimenti, attraverso la quale richiedere il nulla-osta societario, selezionare il profilo dell’atleta, dare una breve e semplice motivazione dello spostamento e, infine, inviare il documento alla società di destinazione, la quale, collegandosi nuovamente al portale stesso, potrà accettare il trasferimento oppure rigettarlo. E’ inoltre comune che i documenti vengano altresì inoltrati, in copia per conoscenza, ai Comitati Regionali di riferimento ed alla sede centrale della Federazione. “Wow! Facilissimo! Potrebbe farlo anche un bambino!”, esclamò Gianni osservando il padre svolgere l’operazione in un batter d’occhio. Di lì a poco, arrivò la risposta della società di trasferimento: Gianni era stato accettato e sarà successivamente tesserato a loro nome. Gianni era eccitato ma sentiva anche un vuoto dentro di sé: non era abituato ai cambiamenti e quello sarebbe stato un totale stravolgimento della vita vissuta fino a quel preciso istante. Cominciò la stagione agonistica e Gianni iniziò gradualmente ad inserirsi nella nuova squadra, ad abituarsi agli allenamenti e ad accettare il carattere, un po’ burbero, del giovane e brillante allenatore. Si sentiva moralmente e fisicamente bene. Era felice: “Zitto e nuota, nuota e nuota”, canticchiava mentalmente chilometro dopo chilometro. Ai primi di Novembre avrebbe avuto la prima gara in vasca corta della stagione (su vasca da 25 metri): il famosissimo Trofeo Nico Sapio, competizione a qualifica di carattere internazionale, trasmessa anche sui canali Rai, cui lui aveva più volte preso parte in diverse discipline. “Iniziamo a buttar giù qualche tempo. Senza pressioni. Siamo in fase di carico ed è solo Novembre. Non abbiamo ancora pretese ma dobbiamo dare il massimo!”, ripeteva l’allenatore agli atleti qualificati della squadra, motivandoli e spronandoli a dare il meglio di sé. Venne la settimana della gara. Gianni si sentiva pronto, carico e convinto. Una mattina, però, si svegliò con un fortissimo mal di testa ed un gran fastidio alla gola. “Ecco! Te pareva! Mi sono preso qualche accidente!”, pensò sbattendosi il palmo della mano sulla fronte. Effettivamente, Gianni è sempre stato molto sensibile alle malattie stagionali, autunnali soprattutto: “La sua gola e le sue mucose soffrono tantissimo gli sbalzi di temperatura esterni tipici della stagione”, gli ripeteva sempre il pediatra da piccolo, contento di aver saputo che avrebbe iniziato a nuotare in quanto l’ambiente caldo ed umido della piscina, l’acqua tiepida e l’effetto disinfettante del cloro non avrebbero fatto che del gran bene ai frequenti raffreddori e bronchiti cui Gianni continuava ad andare incontro nei cambi di stagione. In effetti, da quando nuotava, Gianni si ammalava molto di meno di quando ancora frequentava le scuole elementari e medie: pensate infatti che, un mese dopo l’esame di Stato di terza media, staccato il suo primo pass per i Campionati Italiani di categoria, svoltesi nei primi giorni di Agosto presso il Foro Italico di Roma, contrasse un raffreddore inimmaginabile per la stagione, corredato anche di enormi e disgustose placche bianche in gola, le quali lo costrinsero a pesanti dosi di Cortisone e numerose punture di antibiotico. Anche in questo caso, Gianni stava sviluppando una bella bronchite con tanto di raffreddore e tosse grassa. “Ma è mai possibile che tu non sappia ancora riguardarti adeguatamente alla tua età?”, gli ripeteva nervosamente la madre mentre lo visitava. “Va bene che è comodo avere due medici in famiglia, ma non bisogna necessariamente approfittarne!”. La madre, che aveva ottenuto, nel lontano 1993, la Laurea in medicina e chirurgia con specializzazione in dietologia e tossicologia ed era anche la Dottoressa di riferimento della sua ex società di nuoto, l’aveva preso in cura appena compì 14 anni, effettuando il passaggio dal pediatra al medico di famiglia. “E’ bronchite, come al solito! Antibiotico e Cortisone: non c’è altra soluzione. Altrimenti ti verranno subito una tosse pazzesca ed un febbrone da cavallo”, diagnosticò fermamente la madre. Nonostante tutto, Gianni non aveva mai perso neanche un allenamento od una gara a causa dei suoi malanni stagionali: addirittura, una volta, era andando anche a gareggiare con la febbre! Neppure questa volta si sarebbe tirato indietro ed avrebbe comunque dato il massimo. Il giorno prima di partire per Genova, sua madre e suo padre gli prepararono l’apposita documentazione da presentare al medico di gara ed al giudice arbitro, certificante l’uso dei medicinali solo a fini terapeutici e senza alcuno scopo dopante. In particolare, Gianni aveva studiato a scuola, ed imparato dalla sua pluriennale esperienza personale e sportiva, che i cortisonici, detti anche steroidi, sono ormoni con svariati effetti sull’organismo: dall’aumento della produzione di zuccheri, dei lipidi e del colesterolo nel sangue al consumo delle riserve proteiche per aumentare glicidi e lipidi, dalla maggior ritenzione di sodio all’aumento dell’eliminazione del potassio, dalla riduzione dei globuli bianchi interessati nei fenomeni allergici all’aumento di altri globuli bianchi che intervengono nelle infezioni in difesa dell’organismo, dalla diminuzione della dilatazione dei capillari alla nascita di un possibile stato di eccitabilità, dato che aumentano l’azione dell’adrenalina e della noradrenalina. Molti atleti ricorrono all’assunzione del cortisone per migliorare la propria performance proprio perché il farmaco sembrerebbe essere in grado di migliorare la risposta ad alcuni stress psicofisici, riducendo il senso di fatica. Tuttavia, l’uso dello stesso senza una motivazione terapeutica è considerato doping e può essere valutato anche con i test anti-doping. Ecco perché Gianni si è fatto redigere la Therapeutic Use Exemption (TUE), un documento col quale si legittima l’assunzione di medicinali ovvero la pratica di metodi inclusi nella Lista proibita della World Anti-Doping Agency (WADA): infatti, se un atleta senza TUE fosse soggetto a controllo anti-doping, sempre a sorpresa, salvo casi eccezionali di minimo preavviso, e risultasse positivo, incorrerebbe nella procedura disciplinare e nelle aspre sanzioni, che vanno dall’invalidazione dei risultati alla squalifica, previste dalle norme sportive antidoping stilate dal CONI in attuazione del Codice Mondiale Antidoping. Venne il giorno della gara: era una fredda e ventilata Domenica di Novembre ed il mare genovese sembrava parecchio agitato. Gianni invece, ancora molto raffreddato e con poca voce, era tranquillo e determinato. Una volta sul piano vasca, si diresse nei pressi della postazione microfonica per consegnare al medico di vasca, un uomo di mezza età, paffutello ed un po’ assonnato, il TUE, così che compilasse le parti a lui addette e scrivesse il relativo certificato da consegnare al giudice di gara. “Come al solito i medici di vasca ti guardano male quando gli presenti un TUE: un po’ perché pensano chissà che, un po’ perché non hanno voglia di compilare la parte loro dedicata sul modulo prestampato, un po’ perché non hanno voglia di timbrare il certificato da rilasciarti”, raccontava scherzosamente Gianni al suo allenatore. Terminati i classici 30 minuti di riscaldamento, il momento di gareggiare arrivò in un lampo: attivazione, camera di chiamata, presentazione del cartellino (senza il quale non si può gareggiare), posizionamento in corsia. “A posto, VIA!”, gridò lo starter nel microfono. Gianni fece un’ottima gara, oltre ogni più rosea aspettativa, per essere inizio stagione e per essere anche un po’ acciaccato. I compagni, che gli avevano fatto il tifo a squarciagola, si complimentarono con lui. L’allenatore, dopo averlo informato dei suoi tempi parziali e di alcune imperfezioni, lo congedò dicendogli: “E’ proprio vero che la differenza tra il nuoto e gli sport di squadra sta nel fatto che qui la possibilità te la crei, mentre negli altri ti dev’essere data” (M. Rosolino). Soddisfatto, dopo essersi goduto, insieme ai suoi genitori, un bel piatto di trofie fatte in casa con pesto, patate e fagiolini, Gianni tornò a casa nel pomeriggio, rivedendo più volte la gara che il padre gli aveva registrato col telefonino e ripensando alle sensazioni provate. Era contento, anche se non aveva migliorato il proprio personal best: infatti, nei casi come quello di Gianni, l’assunzione in dosi equilibrate ed a fini terapeutici di antibiotici e cortisoni non portano necessariamente ad un miglioramento della performance sportiva, anche perché, spesso e volentieri, se non si è abituati, danno un notevole senso di intontimento, accentuato da una costante voglia di dormire. In conclusione, giovani sportivi e sportive di ogni età, appassionatevi ed innamoratevi dello sport, quello sano, corretto e leale, “perché se non vi innamorate, è tutto morto; mentre se vi innamorate, diventa tutto vivo; si muove tutto. Dilapidate la gioia, sperperate l’allegria e fate soffiare in faccia alla gente la felicità” per ciò che fate perché “per trasmettere la felicità, bisogna essere felici” (R. Benigni). Per chi ama il nuoto come Gianni, ricordatevi sempre che l’immenso campione Michael Phelps diceva: “Niente è impossibile, se si affronta con fantasia”.


Federica Repetto