Gianni e l'inquinamento del mare

Ma che schifo! Cos’è?”, esclamò un’amica di Gianni schizzando fuori dall’acqua alla velocità della luce. Era Agosto e Gianni ed i suoi amici si rinfrescavano nel luccicante mare della costiera ligure. Luccicante a giorni alterni, diciamo: infatti, l’amica di Gianni era stata sfiorata dall’ennesimo residuo plastico di qualche sacchetto in stato di parziale decomposizione o di chissà che cosa. Non era la prima volta che il mare rigettava rifiuti. “Ma stai tranquilla! Mica ti mangia!”, ripeteva in coro il gruppo di amici prendendola in giro. “Pensate che, una volta, a pochi metri dalla riva, ho estratto dal fondale marino delle aste di alcuni ombrelloni, proprio come quelle che ci sono qui, incastrate tra i massi e coperte di alghe. Certo che la gente è proprio incivile!”, raccontava Gianni ai suoi compagni con evidente sconcerto e preoccupazione per la salubrità delle acque e per l’integrità ambientale.

Quando Gianni aveva mostrato, con evidente malcontento, la propria scoperta ai proprietari dei bagni in cui, fin da piccolo, affittava sdraio, ombrellone e cabina, questi ultimi gli dissero: “Lascia stare ragazzino e vedi di non farti del male a maneggiare quei cosi. Non ci possiamo fare nulla se, di notte, qualche stupido si diverte a gettare l’attrezzatura balneare in mare. Non siamo netturbini e neppure vigilantes, noi”. Quella risposta, piena di sufficienza, gli fece salire il sangue al cervello. “Ma è mai possibile che non ci sia un modo per smaltirli ora?”, gli chiese impetuosamente. “Teoricamente dovrebbe venirseli a prendere qualcuno del Comune per portarli in discarica perché noi non possiamo”, gli risposero. Gianni percepiva un’indifferenza all’argomento intollerabile ed una superficialità senza precedenti, che lo spinsero a battersi per una maggiore tutela dei mari, italiani e non, poiché, secondo Don Gallo, “l’ottavo vizio capitale è l’indifferenza” della gente. “Rifiuti come questi, composti in gran parte da plastica, costituiscono arma letale sia per l’ambiente, sia per gli esseri viventi che lo abitano, sia per gli esseri umani, i quali non solo possono venirne in contatto, ma possono anche ingerirli una volta insediatisi nella catena alimentare” - spiegava, con grande determinazione, al Sindaco della città – “Inoltre, non si può dimenticare che i mari e gli Oceani coprono più del 70% della superficie terrestre e generano più della metà dell’ossigeno che respiriamo, garantendo altresì risorse fonte di proteine, energia e minerali. Essi sono anche in grado di assorbire enormi quantità di anidride carbonica, divenendo una delle migliori difese contro i cambiamenti climatici. Non è possibile che neppure le istituzioni prendano in mano la situazione!”. “Purtroppo, ragazzo mio, nonostante le tue intenzioni siano lodevoli, possiamo contribuire ben poco alla tua causa e risolvere solo parzialmente il problema che ci hai sollevato in quanto, come saprai, circa il 70% delle discariche italiane o è malfunzionante, o non lavora più ed è spesso difficile stipare e smaltire una quantità di rifiuti proporzionale alla loro produzione, specie qualora si tratti di plastica, uno dei materiali più duraturi al Mondo. Certo è vero che, dovrebbero abituarsi le giovani generazioni non solo a comportamenti virtuosi, primari in una società civile, ma anche alla «regola delle tre R», ossia Recupero, Riuso e Riciclo, in modo tale da dare vita più longeva al prodotto, reinventarlo, trasformarlo e, solo in ultima ed extrema ratio, gettarlo e smaltirlo”, gli spiegò dettagliatamente il Sindaco. 

Scosso dall’eccesso di negligenza e d’indifferenza delle persone da cui era circondato e turbato dalle effettive carenze del suo Paese, Gianni si mise a studiare le risposte che il diritto internazionale ed il diritto dell’Unione Europea (UE) hanno dato all’inquinamento da plastica dei mari e degli Oceani, scoprendo che l’inquinamento da plastiche e microplastiche non sembra ancora trovare soluzione concreta, nonostante continui a procurare gravi danni non solo all’ambiente in sé stesso, ma anche e soprattutto alla salute umana e delle specie animali. La quantità di plastica che finisce nei mari ha raggiunto proporzioni allarmanti: infatti, ogni anno, tra i quattro ed i dodici milioni di tonnellate di rifiuti di plastica vengono riversati negli Oceani, causando circa l’80% del loro inquinamento. Secondo i dati dell’UN Environmental Programme, le principali cause della plastica nei mari e negli Oceani sono la dispersione dei rifiuti nell'ambiente, gli eventi atmosferici, la pesca, i trasporti, le attività industriali, le attività agricole, i contenitori per i rifiuti non adeguatamente coperti, il trattamento inadeguato delle acque reflue e le discariche illegali o mal gestite.Secondo i dati del WWF, solo l'1% della plastica presente nell'Oceano si trova a galleggiare in superficie, mentre la maggior parte di essa finisce nelle profondità marine confondendosi coi fondali, proprio come nel caso di Gianni. Una volta finito in acqua, un prodotto in plastica, oltre a cagionare eventuali morti per intrappolamento e/o soffocamento, si spezza anche in frammenti più piccoli per azione del Sole e dell’erosione delle onde. Tali frammenti, detti microplastiche o nano-plastiche, possono raggiungere dimensioni microscopiche, inferiori ai 5 millimetri di diametro, e costituiscono una fra le principali cause di morte per soffocamento di molti pesci, testuggini ed uccelli marini, qualora vengano scambiati per cibo. Infatti, le particelle di materie plastiche costituiscono oggi arma chimica letale per la vita di uomini ed animali essendo inquinanti organici persistenti.

Nella sua ricerca, Gianni, purtroppo, incorse in numerosi video, strazianti, di animali marini che venivano difficoltosamente liberati da soffocanti reti da pesca che gli impedivano di nuotare, nonché di creature morte nel cui stomaco vennero ritrovati materiali plastici, anche di ingenti dimensioni, scambiati per nutrimento ed ingeriti erroneamente, cagionandone la morte per avvelenamento. Esempio emblematico è quello delle tartarughe marine, gli animali che più di frequente finiscono impigliate nelle reti da pesca disperse in mare, non potendo più nuotare, ed ingeriscono, condannandosi a morte, sacchetti di plastica trasparente scambiandoli per meduse-preda.

Le politiche contro l’inquinamento marino da plastica incontrano, come presumibile, le resistenze di interessi economici ed industriali, contrari a che ne venga ridotta la produzione ed il consumo. Nel 2018, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha però inserito il problema della plastica negli Oceani non solo tra le sei emergenze ambientali più gravi da affrontare, ma anche fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dalle Nazioni Unite, con lo scopo di conservare ed utilizzare in modo durevole gli Oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile. Inoltre, tra i traguardi da raggiungere entro il 2025, vi è quello di prevenire e ridurre in modo significativo ogni forma di inquinamento marino, specie se derivante da attività esercitate sulla terraferma. Le finalità che si prefigge sono quelle di prevenire e ridurre ogni forma di inquinamento marino, in cooperazione tra Stati e con particolare attenzione all’acidificazione degli Oceani, nonché gestire e conservare in modo sostenibile gli ecosistemi costieri e marini al fine di preservarne la resilienza e la produttività, anche gestendo e regolamentando efficacemente la pesca.

Al contempo, con la Risoluzione 2160 del 2019, il Parlamento Europeo ha invitato la Commissione e gli Stati membri a guidare gli sforzi verso il raggiungimento di un accordo, in seno all'Assemblea delle Nazioni Unite, il quale sia giuridicamente vincolante e riguardi «l'intero ciclo di vita delle materie plastiche e contempli obiettivi di riduzione dell'inquinamento marino da plastica condivisi a livello globale». L’ordinamento internazionale deve dunque transitare verso un’economia circolare che riduca nettamente produzione, consumo e conseguente rilascio di plastica nell’ambiente, in ragione dei pericoli per la salute animale, umana e degli ecosistemi: infatti, in ragione delle loro conseguenze, le materie plastiche non possono che far parte di una categoria di sostanze pericolose di cui devono essere controllati e limitati uso e gettito incondizionati.

L'inquinamento marino da plastica è un problema complesso e di carattere transnazionale cui non può essere data una soluzione unica ma la sua riduzione può avvenire tramite due canali principali quali le azioni di prevenzione, promuovendo politiche di riuso e riciclo consapevole e responsabile, e di rimozione fisica. “Beh, allora non ci sono andato molto lontano!”, disse tra sé e sé Gianni, ripensando al proprio operato. Concreto tentativo di riduzione della plastica nei mari secondo azioni preventive si ebbe, tra gli altri, con la direttiva dell’Unione Europea 2019/904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica, monouso, sull’ambiente e, in particolare, per quelli di cui è già disponibile una versione alternativa sul mercato come, ad esempio, cotton fioc, posate, piatti, cannucce e bastoncini mescola bevande. “Ecco perché ad un certo punto non ho più visto neppure un cotton-fioc in giro per casa! Praticamente, è come se fossero stati banditi!”, rifletteva Gianni collegando gli avvenimenti. Fra le altre proposte, l’Unione Europea si è inoltre posta l’obiettivo di raggiungere, entro il 2029, la raccolta del 90% delle bottiglie di plastica e l’obbligo di etichettatura per alcuni prodotti, come i bicchieri, gli assorbenti igienici e le salviettine umidificate, in modo tale che gli utenti sappiano come smaltirli correttamente. Infine, è stato stabilito che una parte del materiale utilizzato per produrre le bottiglie debba provenire dalla plastica riciclata in percentuali pari al 25% entro il 2025 ed al 30% entro il 2030.

Gianni aveva letto che: “Non sono poche le odierne iniziative, soprattutto di carattere internazionale, promosse al fine di ridurre la plastica nei mari e negli Oceani, come, ad esempio, la campagna Clean Seas, lanciata dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, o la campagna GenerAzione Mare, lanciata dal WWF con l’obbiettivo di promuovere la tutela del Mare Mediterraneo, la conservazione della sua biodiversità e l'eliminazione dell’inquinamento da plastica in natura entro il 2030” (E. Scuri, Non è possibile che in mare si nuoti tra i rifiuti. L’appello di Gregorio Paltrinieri, 2022). Inoltre, da grande nuotatore e fan del campione olimpionico Gregorio Paltrinieri, Gianni non poteva che appoggiare il format di gare in mare chiamato «Dominate the water», il quale si pone l’obiettivo di promuovere la tutela di questo prezioso ecosistema in cui gli atleti si trovano a gareggiare, spesso in condizioni invivibili. Si tratta di un tema già polemizzato in occasione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro del 2016 in cui, nella  baia brasiliana di Guanabara, gli atleti si sarebbero trovati a gareggiare in un mare di microorganismi potenzialmente nocivi per la loro salute. Attraverso il suo progetto, sempre più popolare e conosciuto in tutto il Mondo, Paltrinieri promuove l’attenzione alla sostenibilità durante gli eventi sportivi: infatti, durante le gare in mare, ci sono barche a motore tenute, per questioni di sicurezza, a seguire gli atleti durante lo svolgimento della loro performanceagonistica, circostanza nella quale, qualora i nuotatori facessero dei rifornimenti, date le lunghe distanze percorse, bottiglie di plastica e contenitori di integratori vengono comunemente persi in mare e non sempre recuperati.

Beh, considerando la già esistente Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, che garantisce tutela generica e generale dell’ambiente marino, dettando l’adozione di idonee misure preventive e di precauzione, devo dire che di provvedimenti ne sono stati presi! Ma allora perché si parla ancora così tanto di mare inquinato e di isole di plastica?”, si domandava Gianni facendo scorrere sul suo tablet gli articoli di giornale trovati online. Addirittura, aveva scoperto un aneddoto interessante e tipicamente italiano: a quanto pare, sulle spiagge della Puglia, è frequente il ritrovamento di oggetti plastici, risalenti fino agli anni ‘50/’60, praticamente integri. Da contenitori di articoli per la cura della persona a buste per gli alimenti, da medicinali a prodotti per l’igiene intima. “Sbalorditivo! Certo che il processo di biodegradazione della plastica è davvero infinito!”, esclamò stupito.

Ma in Italia cosa si sta facendo davvero per arginare il problema?”. Bella domanda Gianni. Secondo l’UN Environmental Programme, il Mediterraneo risulta, purtroppo, una delle sei aree del Mondo maggiormente invase dall’inquinamento da plastiche, microplastiche e nano-plastiche. Un primo passo verso la riduzione progressiva di questo enorme problema è stato fatto con il decreto legislativo numero 196 dell’8 Novembre 2021, di recepimento della direttiva Single Use Plastic (SUP) di cui sopra, il quale prevede che non possano più essere immessi sul mercato molti oggetti in plastica monouso, pur rimanendo la possibilità per aziende ed utenti di esaurirne le scorte. Già la legge di bilancio del 2018 avevano dettato disposizioni finalizzate, ad esempio, alla promozione della produzione e della commercializzazione dei bastoncini per la pulizia delle orecchie in materiale biodegradabile e compostabile, nonché dei prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente che non contengono microplastiche. L’idea di base è quella per cui, preservando il valore dei prodotti e dei materiali il più a lungo possibile e generando meno rifiuti, l’economia dell’Unione possa diventare più competitiva e più resiliente, riducendo, al contempo, la pressione umana esercitata su risorse ed ambiente.

Altro intervento in materia è stato promosso attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), documento con il quale l’Italia si prefigge l’obbiettivo di realizzare nuovi impianti, detti Plastic Hubs, per il riciclo dei rifiuti plastici, compresi quelli in mare, in ossequio all’originario Next Generation European Union Programme per un’economia ed uno sviluppo circolare, il quale già introduceva misure mirate di riciclo. “Ad oggi, purtroppo, l’Italia è ancora lontana dal raggiungimento di questi target: infatti, più del 50% dei rifiuti plastici viene raccolto come materiale misto, non recuperato ed utilizzato o per un mero recupero energetico oppure inviato direttamente in discarica senza smistamento”, comprese Gianni proseguendo nella lettura. Un passo in avanti in questa direzione è stato però fatto con l’articolo 4 della nuova legge SalvaMare 60/2022, il quale, concentrandosi prevalentemente sui rifiuti ripescati, accidentalmente o volontariamente, in mari, fiumi, laghi e/o lagune, incentiva un’economia circolare volta a «promuovere il riciclaggio della plastica e di  altri materiali non compatibili  con  l'ecosistema  marino  e  delle  acque interne».

Un’altra misura di rilievo in materia avrebbe potuto essere messa in atto con l’introduzione della Plastic Tax, una tassa del valore fisso di 0,45 centesimi di Euro per ogni chilogrammo di prodotto di plastica monouso venduto. L’imposta, prevista dalla legge di bilancio del 2020, avrebbe dovuto essere applicata al consumo dei manufatti realizzati con materiale plastico aventi funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci ovvero prodotti alimentari (anche in forma di fogli, pellicole o strisce) che siano stati ideati ed immessi sul mercato per un singolo impiego, con l’obbiettivo di disincentivare, attraverso lo strumento dell’imposizione fiscale, l’utilizzo comune dei prodotti di materiale plastico e di favorire progressiva riduzione di produzione e consumo di manufatti in plastica monouso. Purtroppo, però, il Governo, con legge di bilancio 2022, ha nuovamente prorogato al 2023 l’attuazione della Plastic tax, portando l’Italia ad essere ancora uno dei Paesi europei con la maggiore concentrazione, produzione e consumo di plastica a cui non solo non è stata data effettiva soluzione, ma che continua ancora a turbare la salubrità dei mari e l’integrità della biodiversità marina. “Ecco, come al solito. Per noi italiani il detto «non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi» non vale!”, esclamò rabbioso Gianni sbattendo i pugni sulla sua scrivania in legno massello.

In sintesi, un unico obbiettivo lontano da raggiungere, tante idee confuse ed ancora troppa indifferenza verso problemi ambientali di notevole importanza”, sentenziò Gianni a malincuore.

In conclusione, i mari e gli Oceani, popolati da un’abbondante proliferazione di organismi, sono in grado di garantire ogni funzione eco-sistemica possibile, espletandola attraverso una loro naturale efficienza depurativa. Purtroppo, però, gli scienziati hanno osservato come l’impatto antropico abbia favorito fenomeni che non permettano la piena esplicazione del processo di depurazione, dimostrando altresì che l’azione antropica inquinante ha avuto ricadute non indifferenti anche sull’integrità della biodiversità marina. Nonostante le Convenzioni internazionali, l’azione euro-unitaria, le normative interne e le iniziative intervenute a sostegno di un uso più oculato dei mari e ad una tutela più accorta delle acque e della biodiversità, la crisi globale causata dall’inquinamento marino continua purtroppo a persistere ed avanzare apparentemente senza freni, concretizzandosi in un vero e proprio pericolo per la vita delle generazioni future. Occorre dunque trovare una soluzione prima che sia troppo tardi. “Questo non è pessimismo,” – diceva Gianni – “è pura e semplice consapevolezza e constatazione oggettiva del domani, perché se fossi ottimista sarei un cretino completo, ma se fossi pessimista sarei peggio” (L. Dalla).


Federica Repetto