Gianni e la mancanza di corrente elettrica

Nonno!” – gridò Gianni, furioso, scendendo le lucide scale di legno, tenendosi stretto al corrimano e con il solo ausilio della torcia del suo nuove e fiammante Smartphone – “E’ andata via la luce! Senza corrente, come faccio a studiare?”. Era una gelida sera di Novembre quando, all’improvviso, tutto il paese di Gianni rimase senza corrente elettrica. “Stai calmo! Intanto muniamoci di torce e andiamo a vedere il contatore. Se non dovesse essere un problema risolvibile, chiameremo il Numero Verde per le emergenze della nostra compagnia di riferimento e domanderemo chiarimenti. Mal che vada, ceneremo a lume di candela ed andremo a dormire con le galline come si faceva una volta”, gli disse il nonno scherzosamente. Il contatore della luce, quello strumento che serve a misurare il flusso di energia elettrica che viene utilizzata da un’abitazione o da immobile d’altro genere (espresso in Chilowattora, con sigla kWh), si trova in cantina, nascosto tra le bottiglie di vino e l’ingombrante cella frigorifera. “Certo che questo posto è davvero inquietante di sera”, pensò Gianni entrandovi insieme al nonno. “Beh, il salvavita è a posto”, osservarono. Però, come il tecnico della compagnia elettrica gli aveva spiegato all’epoca dell’installazione del macchinario, sul display posto al centro del contatore elettronico si trovano tante informazioni utili e, per ottenerle, basta premere il pulsante di lettura posto sul lato destro dello strumento: guardando sul display, infatti, appaiono sempre alcune indicazioni cui occorre fare attenzione: se risulta il simbolo “L1”, il contatore sta funzionando correttamente e se compare il simbolo “!” ed è presente energia elettrica in casa, la segnalazione può essere ignorata. Diversamente, in caso di mancanza di energia elettrica, è necessario contattare gli operatori telefonici al Numero Verde. “Ecco, siamo a posto…” – constatarono amaramente i due – “Chiamiamo questo numero, dai. Segnatelo e poi dettamelo, per favore. Intanto, andiamo in casa che qui c’è da ammalarsi per il freddo che fa!”, gli disse suo nonno con fare evidentemente seccato. Rientrati in casa e composto il numero, dopo aver schiacciato una combinazione infinita di tasti che avrebbero dovuto ricondurli all’operatore di riferimento, vennero immediatamente messi in attesa, relegati all’ascolto di un’odiosa musichetta preimpostata di sottofondo. “Che nervoso!”, dissero sbuffando, quando, finalmente, qualcuno dall’altra parte della cornetta risposte con una voce umana, non meccanica o registrata. “Oh buonasera! Chiamo per avere informazioni sulle cause dell’interruzione di corrente elettrica in tutto il nostro paese: stanno per caso facendo dei lavori di manutenzione?”, chiese garbatamente suo nonno all’operatore telefonico. Quest’ultimo gli dovette però dare, a malincuore, una pessima notizia: l’interruzione di energia elettrica in tutto il paese non era dovuta ad alcun tipo di lavoro di manutenzione, fosse esso ordinario o straordinario, bensì ad una brusca sospensione dello stesso servizio pubblico, di evidente utilità e necessità collettiva, tale da turbarne la regolarità di erogazione. Ciò significa che l’esercente sta logicamente incorrendo nella fattispecie criminosa di cui all’articolo 331 del Codice penale, inerente, appunto, l’interruzione o la sospensione di un servizio pubblico o di pubblica utilità. “Oh santo cielo! Ci mancava solo questa! Delinquenti!”, rispose il nonno di Gianni, sgarbatamente questa volta. “Sono costernato Signore. Anche noi operatori telefonici, che, come può lei stesso constatare, siamo totalmente estranei all’alterazione del servizio, siamo in evidente difficoltà coi nostri interlocutori perché noi stessi non abbiamo alcuna certezza né sui tempi di ripristino del servizio, né sulle conseguenze cui questa vicenda potrebbe condurre”, gli spiegò, pacatamente e sinceramente addolorata, la voce maschile risuonante attraverso l’apparecchio telefonico. “Mi scusi lei. A volte mi prendono i cosiddetti “cinque minuti” e mi innervosisco subito. Abbia pazienza ma, ad una certa età, determinati comportamenti non si riescono proprio a sopportare!”, gli rispose, tornando l’uomo sensibile e comprensivo di sempre. “Non si preoccupi” – gli disse l’operatore con tono rassicurante – “In ogni caso, chi di dovere ha già denunciato il fatto, che costituisce appunto un reato. Perciò, restiamo in attesa che la faccenda si risolva, nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile”. Dopo essersi salutati, Gianni cenò con la sua famiglia a lume di candela e fu quasi divertente vedere la casa sotto una luce diversa, letteralmente. Nonostante ciò, andò a dormire molto presto perché, senza corrente elettrica e null’altro da fare, si stava già annoiando a morte!

Il mattino seguente, una volta svegli, constatarono che la luce era finalmente tornata e che tutto si era fortunatamente risolto. I primi giornali online parlavano già dell’accaduto: “Imprenditore sospende l’erogazione del servizio di energia elettrica in tutto il circondario per turbare la regolarità dell’attività di fornitura. Possibile reclusione e multa”. “Addirittura?!”, lesse Gianni, stupito dalla notizia. Ebbene sì: infatti, ai sensi dell’articolo 331 del Codice penale, «chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a 516 Euro». Potendo essere commesso solo da chi esercita impresa di servizi pubblici o di pubblica necessità, nel diritto penale si parla in proposito di reato proprio che, a causa della particolare natura del bene giuridico protetto che si presta ad essere offeso soltanto da soggetti particolari, può essere commesso solo da chi rivesta determinate qualifiche o condizioni. Com’è successo a Gianni in questa sua nuova ed istruttiva avventura, la condotta si sostanzia in una mancata prestazione o cessazione totale dell'erogazione del servizio per un periodo di tempo apprezzabile, tale da cagionare turbamento alla regolarità del suo funzionamento, ossia un'alterazione del funzionamento dell'ufficio o servizio pubblico nel suo complesso. Dal punto di vista penalistico, è irrilevante la durata della condotta criminosa e l'entità della stessa, purché non siano di minima e/o scarsa importanza.

Effettivamente, il ragionamento è sensato, dato che la ratio legis della norma, collocata tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione (Libro II, Titolo II, Capo I del Codice penale) tutela il buon funzionamento della PA, inteso come continuo, regolare ed efficiente funzionamento dei servizi pubblici e di pubblica utilità” - rifletté Gianni – “Ma l’imprenditore ha agito in mala fede oppure no?”, si chiese. Ebbene, questi, avendo evidentemente agito in mala fede, risponde del fatto poiché ha agito con dolo: infatti, l’alterazione o sospensione del servizio, condotta alternativa all’interruzione, dev’essere, come nel caso di specie, generica ma significativa, assumendo rilievo solo qualora pregiudichi lo svolgimento del servizio stesso. Per questo motivo, il reato si dice a dolo generico, circostanza entro la quale è sufficiente, per la punizione, che l'autore, consapevole della propria qualifica pubblicistica, voglia l'evento e se ne assuma il rischio, senza che abbia alcuna rilevanza il motivo per cui compie il fatto. Sul tema dell’elemento soggettivo del reato si è pronunciata la Corte di cassazione, Sezione V Penale con sentenza del 19 Dicembre 2013, numero 5271, affermando che «va disattesa la tesi difensiva di mancanza, in capo all’imputato, della consapevolezza dell’inidoneità della condotta a cagionare […] la turbativa del servizio, atteso che, se si percuote con un bastone l’autista di un autobus, che per questo viene trasportato al pronto soccorso dove gli è diagnosticata, tra l’altro, una contusione cranica, l’accettazione di tale rischio è in re ipsa». “Quindi, ragionando a contrario, se l’imprenditore avesse agito in buona fede, mosso da ragioni meritevoli di considerazione da parte del giudice, il reato in esame non avrebbe potuto dirsi consumato ed integrato” - dedusse argutamente Gianni che, preso dalla sua solita curiosità, iniziò a riflettere da penalista, o almeno ci provò, dall’alto dei suoi primi studi di diritto penale - “Dunque, considerando tutto ciò e prendendo come punto di riferimento il mio caso, il reato non può altro che dirsi istantaneo in quanto consumato nel momento, e nel luogo, esatto in cui il colpevole realizza la condotta o l'evento vietati, senza che l'azione si protragga nel tempo: come i reati di omicidio e di furto, insomma!”. Nei reati istantanei, infatti, l’offesa al bene giuridico non può durare nel tempo in quanto l’azione del reo è da sola sufficiente ad integrare il crimine (in latino, l’espressione tempus commissi delicti indica il momento di consumazione del fatto di reato). Ciò che non si protrae nel tempo è la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale che, nel caso di specie, si concretizza, come si è già avuto modo di evidenziare, nel buon funzionamento e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione, della quale devono essere garantiti i criteri generali d’imparzialità, economicità, rapidità, efficacia ed efficienza dell’azione, nonché del miglior contemperamento o bilanciamento degli interessi in gioco, secondo il combinato disposto dell’articolo 97 della Costituzione e delle disposizioni della legge del 7 Agosto 1990, numero 241 in materia di procedimento amministrativo. Al contrario, però, la condotta del criminale potrebbe anche avere una lunga durata: invero, Gianni e la sua famiglia hanno trascorso molte ore senza corrente elettrica, circostanza che ha altresì fatto in modo che il comportamento stesso potesse integrare la fattispecie penale in quanto significativo e non occasionale e/o irrilevante. Nonostante questa protrazione nel tempo della condotta, il reato, come osservato, si considera comunque istantaneo, contrapponendosi alla categoria penalistica, di creazione giurisprudenziale, dei reati permanenti, quelle particolari ipotesi delittuose «per la cui esistenza la legge richiede che l’offesa al bene giuridico si protragga nel tempo per una durata che è legata alla persistente condotta volontaria del soggetto agente» (Sezioni Unite della Corte di cassazione sentenza del 13 Luglio 1998, numero 11021). Effettivamente, a differenza del reato istantaneo, quello permanente, per essere definito tale, richiede la simultanea sussistenza di una condotta tipica che sia suscettibile di essere protratta in modo continuativo per un apprezzabile lasso temporale, un bene tutelato non distruttibile ma comprimibile, un atteggiamento del soggetto agente volontario e persistente, nonché un’offesa dal carattere continuativo. Inoltre, a differenza dei reati istantanei, il tempus commissi delicti è quello in cui si pone in essere l’ultimo atto della condotta permanente.

Ma qualora l’imprenditore avesse posto in essere solamente atti idonei e diretti a turbare il servizio senza poi commettere alcun reato? Avrebbe comunque risposto di reato tentato?”, si chiese Gianni sfogliando il suo pesantissimo manuale di diritto penale. Ebbene sì: infatti, per la giurisprudenza, è ammissibile il tentativo nei casi di cui all’articolo 331, qualora vengano posti in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad interrompere o sospendere il servizio pubblico o di pubblica utilità al fine di turbarne il regolare funzionamento e l’evento non si compia, l’azione non si verifichi o sia realizzata solo parzialmente. Ai sensi dell’articolo 56 del Codice penale, il tentativo compiuto si ha quando il reo ha posto in essere tutto l’iter criminoso, ma l’evento non si è verificato, mentre è incompiuto quando la condotta criminosa non è stata portata a termine. Dunque, il tentativo ha un’efficacia estensiva della punibilità poiché la norma estende la perseguibilità del fatto ad una soglia antecedente a quella del crimine consumato, configurando così una figura di reato autonoma e perfetta che presenta tutti gli elementi necessari per l'esistenza dell’evento criminoso, dal fatto tipico, all’antigiuridicità, alla colpevolezza. “Perciò, se si fosse trattato di tentativo di interruzione o sospensione di servizio pubblico o di pubblica utilità, si sarebbe parlato di reato di pericolo astratto poiché il soggetto sarebbe stato punito non perché ha realizzato un’offesa al bene giuridico, ma perché ha messo in pericolo il detto bene”, rifletteva ad alta voce Gianni con sguardo fisso sulle pagine del suo testo. E’ bene però osservare che l'individuazione del tentativo si incentra sui concetti di «idoneità degli atti» e «non equivocità degli stessi». «Idoneo» è un atto che può considerarsi capace di raggiungere un risultato oggettivamente pericoloso, presentando quindi le caratteristiche della capacità e dell’oggettiva pericolosità e dovendosi valutare idoneità od inidoneità dell'atto stesso solo in relazione al caso concreto in quanto, spesso, tra uno sicuramente inidoneo ed uno sicuramente idoneo, la giurisprudenza ha individuato una gamma di sfumature che non sono sempre facili da inquadrare. L'idoneità è riferita all'atto e non al mezzo poiché un atto può essere idoneo anche se il mezzo non lo è, valutazione effettuata tramite un giudizio ex ante ed in concreto ponendosi nella stessa ottica di colui che ha posto in essere l’azione criminosa, prima che fosse compiuta. Un atto si dice invece «non equivoco» quando è idoneo a provocare l’evento e quando sia raggiunta la prova dell’intento criminoso. “Dunque, l'azione o l'omissione deve far trasparire con certezza l'intento delittuoso e le modalità di attuazione devono integrare in maniera non equivoca un fatto tipico o costituire almeno un atto collegato e di anticipazione certa di fatti rientrati nel disegno criminoso del soggetto” – lesse macchinosamente Gianni sospirando – “Quant’è difficile il diritto penale!”, esclamò massaggiandosi le tempie, attanagliato da un gran mal di testa.

Cari lettori, Gianni ancora non sapeva che, oltre alle ricadute penalistiche, l’imprenditore sarebbe anche andato incontro a conseguenze civilistiche non di poco conto: infatti, sembrerebbe legittimo demandare all’imprenditore che, nel caso di specie, ha sospeso la fornitura del servizio pubblico di energia elettrica, arrecando turbamento al suo regolare funzionamento, un risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile, per aver cagionato dolosamente un danno ingiusto all’impresa, risarcimento commisurato dal giudice alla luce sia del danno emergente, ossia della perdita patrimoniale subita, sia del lucro cessante, ovvero del mancato guadagno o profitto che il soggetto avrebbe ottenuto senza il verificarsi dell'evento dannoso. Evidentemente, tutto ciò si spiega alla luce dell’incalcolabile importanza che i servizi pubblici hanno per la collettività.

In ogni caso, Cari Lettori, come avete potuto notare, anche il diritto penale può permeare la nostra vita persino nei momenti più banali: basta esserne spettatori e non protagonisti! Ma per divenirne cultori, è importante sapere, apprendere e ricercare, così da avere sempre padronanza degli strumenti e delle tutele che l’ordinamento consegna nelle nostre mani. E non preoccupatevi se qualche volta rimarrete al buio: rammentate l’immensa saggezza di Albus Silente quando disse che «la felicità può essere trovata anche nei tempi più bui, se ci si ricorda solo di accendere la luce» (J.K. Rowling, Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban).


Federica Repetto