Gianni in farmacia

Oh mannaggia! Mi sono dimenticata di andare a prendere le medicine per tuo nonno!”, esclamò la nonna di Gianni di rientro dal supermercato. Era una gelida giornata di Gennaio e aveva appena nevicato. Nonostante tutto, le strade erano pulite e poco scivolose, circostanza che spinse la nonna di Gianni, ormai un’anziana, ad uscire di casa per andare a fare la spesa. “Avevo una paura incredibile di scivolare ad ogni minimo passo” – disse – “Però, la campagna innevata ed illuminata dal Sole è sempre uno spettacolo!”, raccontò strofinandosi le mani infilate morbidi guanti di lana color crema che le aveva regalato il nonno per il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio. “No! Non esco di nuovo col rischio di rompermi di nuovo qualche osso!” – esclamò – “Gianni, tesoro. Se hai finito di studiare, potresti andare tu in farmacia, per favore? Tuo nonno ha bisogno delle medicine. Lo sai che si è beccato una brutta bronchite”, gli disse. Gianni non esitò ed acconsentì immediatamente: “Ok, nessun problema! Mi devi dare le ricette mediche però”. Anche se non era mai andato in farmacia da solo, sapeva come avrebbe dovuto comportarsi: presentazione della ricetta al/alla farmacista, ritiro del farmaco, eventuale pagamento. Era molto sicuro di sé.

Prima di uscire, però, si domandò tra sé e sé: “Ma che cos’è una ricetta medica?”. La ricetta medica è un documento scritto, redatto da un medico chirurgo, laureato in medicina e chirurgia, abilitato all'esercizio della professione ed iscritto all'Albo professionale, che consente al paziente di ottenere, dal/dalla farmacista, la consegna dei medicinali che vi sono elencati. Per quanto concerne la ratio giuridica, rileva il fatto che il medico che emette ricetta sia un dipendente pubblico oppure un libero professionista. La ricetta medica, espressione della potestà di cura, rappresenta un atto certificativo facente fede dello stato di malattia del paziente, il cui trattamento necessita della terapia prescritta: infatti, secondo la sentenza della Corte di cassazione, Sezione IV penale 08.051/1990, «la ricetta ha natura di certificato per la parte ricognitiva del diritto dell'assistito all'erogazione dei medicinali». La ricetta può avere natura di atto pubblico, ai sensi dell’articolo 2699 del Codice civile, o di certificazione amministrativa e la distinzione è rilevante per la maggiore severità con cui vengono puniti gli illeciti nella redazione degli atti pubblici: infatti, nell'atto pubblico si attestano fatti compiuti dal medico con funzioni pubbliche o avvenuti in sua presenza, mentre nella certificazione amministrativa il medico con funzioni pubbliche attesta fatti da lui rilevati o conosciuti nell’ambito della sua attività, la cui contraffazione e/o alterazione è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni ai sensi dell’articolo 477 del Codice penale. Sia l'atto pubblico, sia la certificazione amministrativa si fondano sul presupposto essenziale che il medico li rediga nell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale ai sensi dell’articolo 357 del Codice penale, secondo il quale sono pubblici ufficiali coloro i quali «esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa», quest’ultima, in particolare, «disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi», od incaricato di pubblico servizio ex articolo 358, per il quale «sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio», ossia «un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale». In tal caso, la ricetta si considera atto di fede privilegiata che costituisce «piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti», in quanto dotato di rilevanza giuridica esterna (sentenza n. 32446/2013 della Sezione V penale della Corte di cassazione). Diversa è l'ipotesi di ricetta rilasciata dal libero professionista, considerata una scrittura privata ai sensi dell’articolo 2702 del Codice civile, in quanto medico esercente un servizio di pubblica necessità ex articolo 359 del Codice penale, il quale annovera espressamente tra gli esercenti servizio di pubblica necessità anche «i privati che esercitano professioni sanitarie […] il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi». In questo caso, la ricetta, invece, «fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta». Relativamente al caso di specie, la rilevanza pubblica della ricetta dipende dal fatto che il medico che ha prescritto la ricetta alla nonna di Gianni ha operato ed opera in qualità di esercente un servizio di pubblica necessità, circostanza che comporta che tutte le sue ricette sottostiano all’articolo 481 del Codice penale nell'ipotesi di falso ideologico, fattispecie per la quale, affinché il reato sussista, occorre dolo generico, ossia la consapevolezza che quanto si sta attestando non sia veritiero, senza che vi sia necessariamente l'intenzione di agire scientemente a danno di qualcuno o qualcosa, con la conseguenza che «chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria […] attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 51 a € 516. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro». Se, invece, il medico di riferimento fosse dipendente di una struttura pubblica e dunque agente, nell’esercizio delle sue funzioni, come pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio, il trattamento sanzionatorio sarebbe decisamente più aspro: infatti, l’articolo 476 del Codice penale prevede che «il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni».

Ecco a te, gioia!”, gli disse la nonna consegnandogli un paio di ricette fittamente scritte in un linguaggio apparentemente arcaico. “Santo cielo! Non si capisce nulla di quello che c’è scritto qui sopra! Meno male che medici e farmacisti si capiscono tra loro, altrimenti sai che equivoci?!”, esclamò Gianni sulla base del comune pregiudizio per cui tutti i medici scrivono male. Il medico di riferimento dei suoi nonni, un “dottore vecchio stampo”, lontano anni luce dall’evoluzione tecnologico-informatica e che non ha ancora accolto la possibilità di redigere le ricette mediche per i suoi assistiti attraverso gli avanzati mezzi meccanici del nuovo millennio, era venuto il giorno prima a casa loro per visitare il nonno, sulla base del fatto che la prescrizione di un medicinale presuppone che il medico visiti il paziente e riscontri l'esistenza di una patologia per la cui cura è necessario il farmaco prescritto nella ricetta. 

Prima di uscire, però, Gianni preferì dagli un’occhiata, giusto per capire cosa avrebbe ricevuto, come comportarsi in caso di imprevisti e quanto avrebbe dovuto eventualmente pagare. Sostanzialmente, si trattava di una serie di ricette mediche scritte su un comune foglio di carta: le cosiddette ricette bianche, legalmente valide perché contenenti alcuni elementi essenziali, quali nome e cognome del medico ed eventuale struttura sanitaria di appartenenza, nome del farmaco o del principio attivo, luogo e data di compilazione della ricetta e firma autografa del medico. “Dato che i farmaci prescritti con la ricetta bianca sono sempre a totale carico dell'assistito, sarà il caso che mi porti un po’ di soldi per pagare le medicine”, constatò Gianni scrutando l’interno del suo portafoglio in pelle blu. Bisogna però tener conto del fatto che le leggi che disciplinano il funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) prevedono altresì che il costo di alcuni farmaci sia a totale o parziale carico dello Stato e, in questo caso, il medico deve necessariamente utilizzare il ricettario rosa, e non bianco, poiché altrimenti il costo sarebbe comunque a carico dell'assistito. Quindi, la ricetta rosa, a differenza di quella bianca, non serve solo per ritirare i medicinali in farmacia, ma serve anche al farmacista per farsi rimborsare dallo Stato il costo dei medicinali forniti agli assistiti, avendo inoltre una finalità amministrativa e contabile con la quale il medico pone a carico della finanza pubblica la spesa dei medicinali.

A Gianni venne poi in mente una strana analogia: “ma se i farmaci hanno una data di scadenza come gli alimenti, anche le ricette scadono?”. Ebbene sì: ad esempio, la ricetta bianca ha validità non superiore a sei mesi a partire dalla data di compilazione e, comunque, per non più di dieci volte, salvo che per alcune categorie di farmaci, come ormoni od ansiolitici, per i quali il periodo di validità della ricetta è più breve. Entro questi limiti, la ricetta si dice anche ripetibile, nel senso che l'assistito può continuare ad esibirla al farmacista per acquistare i farmaci fino al termine della sua validità e, ogni volta che viene presentata per l'acquisto del medicinale, viene timbrata e riconsegnata all'assistito per il suo uso futuro. Tuttavia, se il medico indica espressamente un numero di confezioni di medicinale superiore all'unità, la ricetta diventa non ripetibile, come nel caso di specie, e quindi utilizzabile solo per quella volta. A differenza delle ricette non ripetibili, sulle ripetibili non è necessario indicare il nome e cognome dell'assistito, a meno che il paziente stesso lo richieda o che il medico lo ritenga indispensabile per un'effettiva necessità derivante dalle particolari condizioni del paziente o da una speciale modalità di preparazione o di utilizzazione. E’ però indispensabile l’indicazione del codice fiscale del paziente. L'indicazione del dosaggio non è invece obbligatoria, anche se fortemente raccomandata per evitare equivoci nella dispensazione del farmaco. Qualora mancasse l'indicazione del dosaggio, il farmacista è tenuto a consegnare la confezione con la minor quantità possibile di principio attivo. In particolare, le prescrizioni per il nonno di Gianni riguardavano farmaci che, per il loro uso continuato, possono determinare stati tossici e/o rischi particolarmente elevati per la salute del paziente (ad esempio, gli antibiotici), medicinali che recano sulla confezione la dicitura: «Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica utilizzabile una sola volta». La ricetta non ripetibile ha validità di trenta giorni e la sua non ripetibilità comporta che venga ritirata dal farmacista all’atto della dispensazione. “Il medico ha prescritto al nonno due scatole di antibiotico” – constatò Gianni – “Ma sono obbligato a comprarle tutte?”, chiese alla nonna. “Teoricamente no, però se le ha prescritte, un motivo ci sarà, non credi?”.

Prima di uscire, però, gli venne un dubbio: “Nonna, sbaglio o una volta il medico ha prescritto al nonno un farmaco su ricetta rossa? Per caso manca tra queste?”. “Oh piccolo mio. Che brutto periodo che riporti alla mia fragile memoria” – gli rispose tristemente – “Tu non puoi ricordare, eri molto piccolo. Molti anni fa, i medici avevano diagnosticato a tuo nonno un tumore che, per fortuna, riuscirono a curare. Ecco perché, per alleviare le sofferenze ed i dolori della terapia e del malessere, gli prescrissero un forte antidolorifico: l’ossicodone, se non ricordo male. Uno di quei farmaci per cui è necessaria una sorta di ricetta speciale e specifica, redatta su un particolare ricettario di colore rosso distribuito dall’Azienda Sanitaria Locale (ASL), inerente la prescrizione degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope. Si tratta di una ricetta ha validità per trenta giorni e deve contenere l'indicazione di una posologia adeguata ai trenta giorni di cura. La ricetta deve essere compilata in triplice copia poiché il medico consegna all'assistito due copie, una per il paziente ed una per il/la farmacista, mentre la terza viene conservata dal medico, il quale vi deve apporre il proprio timbro, l'indicazione del suo nome e cognome e del suo indirizzo e numero di telefono professionale”. Gianni rimase attonito: nessuno gli aveva mai raccontato così dettagliatamente della malattia del nonno e delle sue vicissitudini, rimanendone perciò colpito. Navigando su Internet, apprese inoltre dell’esistenza di una deroga per la prescrizione dei farmaci stupefacenti: infatti, con l’ordinanza del 16 Giugno 2009, il Ministero della Salute ha temporaneamente concesso la possibilità di prescrivere alcuni oppiacei, tra cui le composizioni per somministrazioni ad uso diverso da quello parenterale contenenti ossicodone, sul normale ricettario e non su quello speciale per i farmaci stupefacenti, semplificando così la prescrizione.

Gianni, mi raccomando, ricordati anche di prendere lo sciroppo per la tosse e la Tachipirina da 1000”, lo avvertì la nonna. Gianni subito obbiettò: “Ma non c’è scritto nelle ricette!”. “E certo che no! Mica serve una ricetta medica per tutto!”, rispose la nonna. In effetti, alcuni medicinali, per composizione e/o obiettivo terapeutico, possono essere utilizzati senza l’intervento di un medico per la diagnosi, prescrizione e sorveglianza nel trattamento e sui quali può bastare il consiglio del/della farmacista al cliente. Tutti i medicinali senza obbligo di ricetta devono essere contrassegnati da un bollino di riconoscimento, stampato o incollato in posizione visibile su tutte le confezioni. Il bollino è unico per tutti i medicinali, deve essere visibile sulla confezione esterna senza coprire le altre scritte delle confezioni, deve riportare chiaramente la scritta: «Farmaco senza obbligo di ricetta», di grandezza pari o superiore a 1.7 centimetri. Tramite il bollino, il consumatore può così riconoscere chiaramente quali sono i medicinali senza obbligo di ricetta tra tutti quelli posti in vendita ed è obbligatorio su tutte le confezioni prodotte dopo il 1 Marzo 2002. Il Decreto Legge del 4 Luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dall’articolo 1 della legge del 4 Agosto 2006, n. 248, ha poi esteso la possibilità di vendita dei medicinali non soggetti a prescrizione medica ad esercizi commerciali diversi dalle farmacie. Inoltre, la legge finanziaria del 2007 (legge 296/2006) ha stabilito che il prezzo al pubblico dei medicinali non soggetti a prescrizione medica è stabilito da ciascun titolare di farmacia o di esercizio commerciale diverso dalle farmacie e dev’essere chiaramente reso noto al pubblico nel punto di vendita mediante listini od altre modalità equipollenti. I medicinali senza obbligo di ricetta sono distinti in due categorie, ossia i SOP (Senza Obbligo di Prescrizione), che in etichetta devono riportare la dicitura: «Medicinale non soggetto a prescrizione medica», ed OTC (Over The Counter), medicinali da banco o di automedicazione che possono essere oggetto di accesso diretto da parte dei clienti in farmacia e/o parafarmacia, purché riportanti in etichetta la dicitura: «Medicinale di automedicazione». La differenza tra le due classi di medicinali sta nel fatto che mentre per gli OTC è consentita la pubblicità al pubblico, la legge impedisce invece che i SOP vengano pubblicizzati in alcun modo. Inoltre, a differenza di quanto avviene per i farmaci da banco, i farmaci senz'obbligo di prescrizione medica non possono essere esposti sopra al banco della farmacia o nelle aree cui i pazienti possono liberamente accedere. Pertanto, il paziente può avere l'accesso a tali farmaci solo attraverso l'interazione diretta con il farmacista, perché si ritiene che, pur essendo considerati sicuri e per i quali il monitoraggio del medico non risulta essere fondamentale, debbano essere dispensati solo su consiglio di una figura professionale e per questo talvolta definiti «farmaci da consiglio». Nel caso di specie, sia la Tachipirina, sia lo sciroppo per la tosse rientrano nella categoria dei medicinali SOP, non richiedendo perciò alcuna prescrizione medica per il loro acquisto presso farmacie e/o parafarmacie. “Ok nonna, io vado. A dopo!”, disse Gianni uscendo di casa.

Arrivato alla farmacia del paese, Gianni parcheggiò, scese dalla macchina e si diresse verso l’ingresso. Il locale era piccolo ma luminoso e l’insegna a forma di croce verde risaltava parecchio sullo sfondo beige delle alte pareti di cemento. Gianni entrò e notò che, stranamente, non c’era coda. Dietro al bancone sedeva una giovane farmacista: bella, alta e dai capelli biondi mossi. “Buongiorno Signorina. Ho qui delle ricette mediche con le quali vorrei acquistare i farmaci ivi indicati, nonché una scatola di Tachipirina da 1000 ed uno sciroppo per la tosse”, esordì Gianni con sicurezza. “Buongiorno a lei” – rispose la ragazza – “Certamente, mi faccia vedere”. Ricevuti i documenti, la giovane professionista sembrava avere perfettamente padronanza della situazione: infatti, leggeva attentamente le ricette e sembrava comprendere quella strana scrittura, tant’è vero che iniziò a muoversi tra gli scaffali della farmacia aprendo cassetti enormi ed estraendone piccole scatole piene di pasticche. “Ecco qua! Devo però avvertirla del fatto che questo tipo di farmaco non è ora disponibile. Ne ha urgenza?”, chiese a Gianni con tono gentile. Gianni sapeva benissimo che l’antibiotico era fondamentale nella cura prescritta dal medico a suo nonno e non poté far altro che annuire con fare ansioso. “Allora, per legge, non posso assolutamente sostituire il farmaco prescritto dal vostro medico con un altro. Però, data l’assenza sulla ricetta dell'avvertimento espresso: «farmaco non sostituibile», la posso informare dell’esistenza di un farmaco equivalente, detto generico, avente il medesimo principio attivo. Se è d’accordo, le posso dare il medicinale equivalente al posto di quello di marca”, gli spiegò. Gianni non si fece prendere dal panico ed acconsentì immediatamente visto che, tempo addietro, la madre gli aveva spiegato l’equivalenza tra farmaco di marca e farmaco generico, constatando che, nell’emergenza, anche quest’ultimo possa andare bene. “Perfetto! Questo è il conto: vuole detrarre?”, gli chiese porgendogli la mano per ricevere il denaro e, eventualmente, anche la sua tessera sanitaria. Sul momento, Gianni rimase leggermente spaesato: non aveva previsto quella circostanza. “In che senso?”, chiese un po’ intontito. “Non l’ha mai fatto vero?! Allora, le spiego”. La ragazza gli illustrò quindi la normativa: quando si acquista in farmacia un farmaco, ma anche un qualunque dispositivo medico, si potrebbe infatti avere diritto alla detrazione poiché tutti gli acquisti hanno la possibilità di essere detratti fino al 19% del totale delle spese sostenute durante l’anno, per un complessivo di spesa che ecceda i 129,11 Euro (franchigia), pur nella raccomandazione di conservare sempre lo scontrino rilasciato, così da poterlo usare nella dichiarazione dei redditi. E’ importante che, al momento di pagare, venga richiesta l’emissione di uno scontrino contenente il codice fiscale del cliente, fornendo semplicemente la propria tessera sanitaria, dato che l’indicazione del codice fiscale sullo scontrino è indispensabile per ottenere la detrazione e non può essere successivamente indicata a penna, ma dev’essere chiaramente stampata dal registratore di cassa. Solitamente, i farmaci detraibili hanno nel codice l’iniziale «A0»: ad esempio, qualunque cosa corrisponda diciture come farmaco, medicinale, SOP, OTC, medicinali da banco, omeopatico, preparazione galenica, ticket, ricette mediche e/o prodotti fitoterapici riconosciuti, pur rimanendo sempre esclusi i parafarmaci e gli integratori, anche se prescritti dal medico. Per la detrazione dei dispositivi medici è inoltre necessario che lo scontrino sia di tipo parlante, ossia che riporti la descrizione del bene acquistato. “Aah! Ora è tutto più chiaro! Beh, perché no! Anche se non so se mi può servire, lo faccio lo stesso”, disse Gianni che, fiero di aver imparato così tante cose nuove sull’argomento, era comunque consapevole di non dover fare alcuna dichiarazione dei redditi. “Perfetto! Ecco a lei lo scontrino. Mi raccomando, lo conservi e lo tenga lontano dalla luce perché ha la tendenza a scolorirsi e, qualora non si comprendesse più ciò che v’è scritto, finirebbe per non avere più l’efficacia di piena prova per la detrazione fiscale”, l’avvertì la farmacista. Gianni tornò a casa, fiero di aver portato a termine la sua “missione”. Aveva imparato molto dalle piccole vicissitudini quotidiane e ne andava fiero.

Per concludere, è importante ricordare che i farmaci non sono mai assolutamente innocui e la loro prescrizione deve essere attentamente ponderata dal medico, in relazione alle effettive necessità del paziente. Per questo è necessaria la massima attenzione e la massima diligenza nella prescrizione di farmaci, così come è dovere deontologico del medico informare adeguatamente il paziente sulle modalità di uso e somministrazione del farmaco, onde evitare rischi per la sua salute, specie quando si prescrivono farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale perché, in questo caso, il medico pone a carico della finanza pubblica il costo dei medicinali e, in caso di errori o prescrizioni inappropriate, ne risponde anche davanti alla Corte dei Conti.


Federica Repetto