Gianni e la donazione dello zio

Era già da qualche mese che Gianni, atleta provetto in molte discipline, aveva cominciato a interessarsi anche al mondo del calcio. La sua passione nacque un pomeriggio di novembre in cui, invitato dal suo amico e compagno di classe Giorgio a fare i compiti, vide, terminati gli esercizi di matematica, la famosa partita di calcio dei mondiali del 2006. «Hai visto che goal che abbiamo fatto ai rigori?», esclamò Giorgio, saltando dal divano, fiero di essere italiano. Come dargli torto: è proprio vero che noi italiani ci sentiamo tali solo davanti ad una partita di pallone. Quel giorno Gianni non riuscì a pieno ad apprezzare quel momento: non si era mai interessato al calcio, anzi lo aveva sempre considerato uno sport piuttosto ridicolo. 

Dimenticatosi ben presto degli avvenimenti del pomeriggio, dato che aveva dovuto dedicarsi a tutte le verifiche che i professori avevano fissato per le settimane seguenti, il pensiero di quella partita gli tornò in mente solo alla fine del mese di novembre per una strana serie di coincidenze. Una domenica, infatti, passeggiando per il centro, sentì da un altoparlante proprio la canzone che si considera il simbolo di quella vittoria nazionale, o meglio, la sua versione da stadio. Si trattava della canzone dei The White Stripes, Seven Nation Army, conosciuta per il suo solito motivo di base “Popopopopò”. Pochi minuti dopo, entrando in una libreria molto famosa della sua città, Gianni vide esposto un libro di telecronaca calcistica e, incuriosito dalla copertina, lo aprì. Il caso volle che lo scrittore in quelle pagine stesse proprio citando le celebri frasi della telecronaca di quella vittoriosa partita di calcio: «Alex Del Piero! Chiudete le valigie, andiamo a Berlino, andiamo a Berlino, andiamo a prenderci la coppa, andiamo a Berlino!». Quella frase di Fabio Caressa era diventata un’icona di quel mondiale FIFA, che grandi e piccini non potranno mai dimenticare. Girandosi verso la sua ragazza, che lo accompagnava a fare acquisti, le chiese: «Ma è davvero possibile che io sia l’unico al mondo a cui non interessa il calcio?». La ragazza, alzate le spalle in segno di disinteresse, lo invitò a mettere giù il libro dato che si stava facendo tardi e dovevano ancora fare molte compere prima di sera. 

Tornato a casa, riflettendo sull’accaduto, Gianni iniziò a cercare su internet maggiori informazioni sullo sport e, a poco a poco, si appassionò anche lui al gioco che per molto tempo aveva ritenuto ridicolo. Nelle settimane seguenti il suo interesse crebbe a tal punto che in casa, a pranzo e a cena, iniziò addirittura a lamentarsi del fatto che nella sua zona non esisteva un parchetto da calcio che consentisse a lui e ai suoi amici di allenarsi. Per accontentare Gianni nel suo desiderio, il mese dopo, la famiglia gli regalò un vecchio terreno non lontano da casa: si trattava di un piccolo appezzamento che formalmente apparteneva allo zio Antonio, che ormai non riusciva più ad utilizzarlo. Proprio quel Natale lo zio decise dunque di donare l’appezzamento al nipote Gianni, che, appena maggiorenne, ne poté acquisire ufficialmente la proprietà. Gianni, talmente entusiasta di questo dono, già la settimana seguente iniziò a lavorare al vecchio orto per poter creare un liscio e comodo terreno pianeggiante per giocare con gli amici. Già pregustava le intere giornate estive che avrebbe passato lì. Si era perfino immaginato che la seguente stagione estiva gli avrebbe consentito di guadagnare diverse ore di luce: nelle sue cuffiette le parole “Notti magiche, Inseguendo un goal, Sotto il cielo, Di un'estate italiana” (Un’estate italiana – Nannini e Bennato).

Qualche settimana dopo dalla fine dei lavori del campetto e dall’inizio degli allenamenti con i suoi amici, Gianni, tornato a casa, si imbatté in qualcosa che mai si sarebbe aspettato: il padre era venuto a conoscenza del fatto che quel terreno, insieme a quelli di tante altre persone, era diventato di interesse pubblico, ossia negli interessi dell’intera comunità. “Dichiarazione di pubblica utilità” così la chiamò il papà il giorno in cui il Comune aveva comunicato che quel terreno sarebbe stato utile per costruire la nuova superstrada. Si parlava di quel progetto da anni in quella zona, una infrastruttura utile per certi versi ma altrettanto contestata per altri. Tutti, in città, avevano sempre pensato che quel tipo di progetto non si sarebbe mai realizzato, che fossero solo “chiacchere” che ogni cinque anni venivano ripetute ciclicamente all’avvicinarsi della tornata elettorale. Invece questa volta sembrava che il Comune facesse sul serio. «Come? Proprio quel terreno gli serve per costruire la strada? Non possono farlo su quello del vicino, così io posso continuare a giocare al calcetto?», chiese Gianni. «Sai,» continuò il padre «alle volte ognuno di noi deve fare degli sforzi per poter migliorare la vita di tutti. Hai presente la tua scuola? Ecco, la terra su cui ora è costruita prima era di qualcuno ma per poter permettere a tutti di ottenere un’istruzione hanno deciso di espropriarla». 

Gianni, naturalmente non soddisfatto dalla risposta del padre, iniziò a informarsi tra le persone che più gli erano simpatiche e che credeva fossero in grado di dargli una mano. Molti di loro gli spiegarono quanto fosse buona quella infrastruttura e di quanto, a volte, sull’interesse del singolo, dovesse prevalere l’interesse collettivo. La Professoressa di Diritto della sua scuola gli citò anche la Costituzione: «Vedi Giannino, pure la nostra Carta Costituzionale riconosce questo principio», cercò di rincuorarlo con i suoi tipici toni pacati da insegnante, «L’articolo 42, che se ti ricordi abbiamo studiato già insieme, stabilisce che “[…] La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. […]”». Gianni si era già irritato per il nome con cui spesso lo chiamava l’insegnante: a lui proprio non piaceva essere chiamato Giannino ma, siccome era veramente interessato a poter trovare una soluzione al problema, decise di continuare ad ascoltare quello che la Professoressa aveva da dirgli. «Proprio qui, ci sta dicendo che, dietro un corrispettivo in denaro come indennizzo, il terreno può essere espropriato perché l’interesse di costruire la superstrada ha una funzione sociale maggiore rispetto alla tua di continuare a giocare a calcio con i tuoi compagni di classe». 

Quasi convinto della bontà delle azioni del Comune, qualche giorno dopo, Gianni si imbatté in un vicino di casa. Anche lui, anni prima, si era ritrovato dall’oggi al domani una procedura di esproprio da parte del Comune. Il vicino Ivano si era subito affidato al fratello avvocato dato che di legge non ne aveva mai capito molto: era sempre stato più portato per le materie scientifiche, in cui primeggiava negli anni della scuola. «Vai da lui!» gli disse Ivano «e mi raccomando, digli che sei mio amico, così non ti farà pagare neanche un centesimo!». Il giorno seguente, Gianni, in compagnia del padre, si presentò nell’ufficio del fratello di Ivano e, dopo essersi fatto offrire un caffè dalla segretaria dello studio, finalmente riuscì ad entrare nella stanza dove l’avvocato lo stava aspettando. Era un signore distinto, lo stereotipo di un avvocato in carriera: camicia bianca e panciotto blu con tanto di cravatta con nodo Windsor, quello che si usa principalmente per le occasioni formali ma che l’avvocato era solito farsi tutte le mattine. 

L’avvocato Gaetano, dopo essersi fatto raccontare il problema, gli spiegò di come qualsiasi ente pubblico non possa agire come gli pare e di come risulti vincolato al rispetto di alcuni fondamentali principi. Questi ultimi devono essere sempre legati ad una finalità di pubblico interesse: un bene comune che deve essere portato avanti dall’amministrazione e che deve sfociare in buone pratiche di comportamento. Gli raccontò inoltre che «il diritto amministrativo è come un libro di regole scritte che si applicano a chi ci governa, ma ci sono anche dei principi importanti non scritti che servono per farlo funzionare meglio». Naturalmente l’avvocato, nel cercare di spiegare che cosa fosse il diritto amministrativo ad un ragazzo appena maggiorenne, dovette fare un enorme sforzo: sapeva che non era di così facile intuizione e, soprattutto, che i suoi innumerevoli principi non erano semplici per Gianni. Principio di imparzialità, di buon andamento, di proporzionalità, di partecipazione e di trasparenza, di economicità ed efficacia potevano risultare difficili ma era sicuro che Gianni, sveglio studente, avrebbe afferrato il concetto o almeno l’avrebbe capito a grandi linee. 

Il principio che affascinò maggiormente Gianni era quello di trasparenza: si tratta di quel principio che si concretizza nella pubblicazione degli atti, dei documenti, dei dati e delle informazioni in possesso di ogni Pubblica Amministrazione. In particolare, per ciò che riguarda la pubblicità, gli enti pubblici sono tenuti a mettere a disposizione tali documenti attraverso la pubblicazione per mezzo di albi, bollettini e siti internet istituzionali. Questo non ha solo un interesse di tutela nei confronti dei cittadini ma, come gli spiegò l’avvocato, serve anche affinché si possa «[…] favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche» (art. 1 d.lgs. 14 marzo 2013, n.33 - Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.), nonché «al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, delle istituzioni, […] nel modo più trasparente possibile» (art. 15, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Gaetano era accorto e utilizzò delle fonti molti importanti, seppur semplici, per poter spiegare bene a Gianni come funziona ogni singolo ente pubblico.

E così iniziò il lavoro di Gianni per cercare, insieme all’avvocato, di individuare come poter trovare il modo per evitare l’esproprio del terreno. Questa faccenda voleva cercare di risolverla da solo, per dimostrare a tutti di essere grande, di riuscire a districarsi fra le faccende di cui, volenti o nolenti, si erano sempre preoccupati i suoi genitori; provò a individuare tutte le questioni che gli venivano a poco a poco alla mente e, con questa determinazione, decise di iniziare a vedersi spesso con il nuovo amico avvocato nonostante, essendo per lui una attività professionale pro-bono, ossia senza nessun tipo di retribuzione, riuscisse solo a dedicargli poco tempo. Passò dunque tutti i suoi pomeriggi liberi a cercare informazioni sulla procedura espropriativa per pubblica utilità e iniziò veramente a capire quali fossero i passaggi da seguire per poter arrivare al provvedimento di esproprio, ossia a quel documento che costituisce il punto di passaggio di proprietà, nonché dei diritti e dei doveri, dal proprietario originale alla Pubblica Amministrazione.

L’avvocato lo aveva indirizzato bene: gli aveva fornito un testo, una legge generale che organizza tutto il procedimento di esproprio, il Testo Unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327). Ne lesse una buona parte prima per poi incominciare a discutere con il padre di quanto quel documento fosse difficile e, addirittura, alle volte incomprensibile. «Come è possibile che ci sia qualcuno in grado di capirci qualcosa qui dentro, sembra di leggere arabo! Ogni frase la devo leggere diverse volte prima di afferrare», disse Gianni. In realtà l’avvocato sapeva già benissimo come risolvere la questione di Gianni ma era deciso a mettere alla prova il nostro ragazzo; riteneva infatti che, con un po’ di sforzo, anche lui avrebbe potuto individuare la soluzione corretta al caso; avrebbe però dovuto sforzarsi. Ma Gianni era, ed è, un combattente proprio come l’omonima canzone: «Ma non sottovalutare la mia voglia di lottare - Perché è rimasta uguale - Non sottovalutare di me niente - Sono comunque sempre un[a] combattente» (Combattente – Fiorella Mannoia).

Lesse dunque che la procedura espropriativa era composta da alcune fasi: l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; la dichiarazione di pubblica utilità; l’emanazione del decreto di esproprio e la determinazione della indennità. Gianni si rese dunque conto che si trovava già a livello della seconda fase e si chiese se proprio il principio che lo aveva così tanto affascinato potesse essere utilizzato contro la Pubblica Amministrazione. Effettivamente aveva un suo senso: la pubblicità, il dialogo che nasce fra il privato e la Pubblica Amministrazione attraverso il principio di trasparenza e di comunicazione degli atti da parte dello stesso ente pubblico può rispondere proprio all’interesse generale; la partecipazione dei proprietari dei terreni sottoposti a dichiarazione di pubblica utilità avrebbe potuto portare il Comune ad individuare una zona diversa, più adatta alla costruzione di quel tratto di superstrada. Ma a lui nessuno aveva detto nulla, il Comune non aveva comunicato che stava iniziando ad interessarsi a quell’area.

Proprio in tal senso, la Pubblica Amministrazione non aveva rispettato la garanzia di consentire ai proprietari la partecipazione. La regola infatti prevede che «al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio deve essere inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti […] (ossia quelli volti a promuovere l'adozione dell'atto dichiarativo di pubblica utilità), con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento» (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 15-11-2011, n. 1370 e T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 10-04-2014, n. 503). Naturalmente, l’avvocato aveva guidato in maniera eccellente Gianni fornendogli il Testo Unico: proprio all’articolo 11, e in parte all’articolo 16, troviamo gli aspetti di partecipazione dei privati proprietari alle scelte espropriative che indicano che, riguardo all’obbligo di comunicazione, «il mancato assolvimento implica illegittimità dell'atto dichiarativo della pubblica utilità e degli altri atti successivi, a nulla rilevando che l'interessato abbia avuto comunque conoscenza del procedimento […]» (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 15-11-2011, n. 1370).

La Pubblica Amministrazione ha due modalità di comunicare l’avvio del procedimento: la prima attraverso la comunicazione personale agli interessati alle opere previste dal progetto e la seconda, quando il numero di destinatari supera il numero di cinquanta, attraverso l’affissione di avviso pubblico nell’albo pretorio dei Comuni interessati. Nel caso di Gianni, il Comune, non aveva dunque adempiuto a questo obbligo, non avendo comunicato l’apposizione del vincolo di utilità: da quel momento Gianni avrebbe potuto proporre alla Pubblica Amministrazione le proprie osservazioni entro un tempo di massimo trenta giorni, periodo finalizzato «a garantire la partecipazione del privato al procedimento amministrativo, al fine di consentirgli di presentare osservazioni in ordine a circostanze ed elementi tali da indurre l'amministrazione a recedere dalla emanazione dei provvedimenti restrittivi.» (T.A.R. Basilicata Potenza, Sez. I, 19-01-2010, n. 13). 

Gianni, felice dunque di aver scoperto che il procedimento amministrativo, l’atto dichiarativo di pubblica utilità che aveva ricevuto e che si sarebbe presto tramutato nel vero e proprio esproprio del suo terreno, non era corretto proprio per la mancanza del rispetto del principio di trasparenza e di pubblicazione dell’avviso pubblico, il giorno seguente passò dall’avvocato che gli chiese se fosse riuscito a trovare una soluzione al problema; «Si sono dimenticati un pezzo!» esclamò Gianni «e tutto il loro lavoro fino ad ora non vale nulla». L’avvocato gli disse di essere stato bravo e che la sua perseveranza, la sua voglia di continuare per raggiungere la soluzione, era la chiave di tutto. Se Gianni si fosse arreso alla prima difficoltà, alla prima lettura di quei testi di Diritto tanto difficili, non sarebbe mai arrivato fino alla fine. L’avvocato lo salutò con un bigliettino: sul foglietto la frase di Alessandro Morandotti “Quando testardaggine e ostinazione si alleano prendono il nome di perseveranza”. Uscito dallo studio, Gianni si recò con il padre in Comune e, dopo aver trovato il responsabile del suo procedimento, mostrò lui stesso l’errore della Pubblica Amministrazione al funzionario incaricato. 

Cari lettori, attraverso il duro lavoro, Gianni è riuscito dunque ad ottenere ciò che voleva: il Comune è tornato sui suoi passi e ha deciso, visto l’errore che avrebbe reso invalido tutto il procedimento, di cancellare la dichiarazione di pubblica utilità e di non proseguire con l’esproprio del suo terreno. Gianni è dunque tornato a giocare per lungo tempo su quel campetto che aveva lottato per conservare ma ciò che di più ha imparato è che il valore della perseveranza ci consente di raggiungere i nostri obiettivi e che il potere pubblico, la Pubblica Amministrazione, non ha un potere illimitato ma deve rispettare le sue stesse regole.

Paolo Facciotti