Gianni, il termometro e altri... incubi

Mamma! Sono pieno di bolle rosse!” – esclamò Gianni terrorizzato quando, appena sveglio, andò a lavarsi il viso di fronte al grande specchio del bagno – “Mi fa anche molto male la testa! Cos’ho?”, domandò piagnucolando. Gianni era ancora molto piccolo quando scoprì di essersi preso il morbillo, una malattia infettiva e molto contagiosa causata da un virus del genere Morbillivirus, che colpisce spesso i bambini e che, per questo motivo, viene detta «infantile». Adesso, Gianni ha diciotto anni e ricorda perfettamente tutto quello che accadde: sua madre, che ora è anche la sua dottoressa, lo visitò accuratamente e, diagnosticatogli il virus, gli misurò anche la febbre, constatando quanto fosse alta ed avvertendo immediatamente il pediatra di riferimento. Gianni si fece curare e guarì ma non si dimenticò mai quanto fosse stato male in quell’occasione.

Fortunatamente, Gianni non ebbe più la febbre per molti anni, finché un giorno…

Mamma” – la chiamò Gianni con un certo malessere – “Credo di essermi peso l’influenza. Forse mi sta salendo anche la febbre. Dov’è il termometro al mercurio che usavo sempre da piccolo?”, le chiese alzandosi a fatica dal letto. “Guarda che non lo abbiamo più da tempo quel tipo di termometro perché il mercurio è stato dichiarato eccessivamente tossico e ad alta pericolosità per l’ambiente. Di conseguenza, è stato tolto dal mercato. Tieni, usa questo”, gli disse porgendogli un termometro elettronico con fare scocciato. Effettivamente, Gianni non sapeva che, secondo uno studio dell’European Environmental Agency (EEA), la maggior parte del mercurio che inquina l’ambiente terrestre e marino, derivante da rifiuti umani ed attività industriali, costituisce una sostanza altamente tossica e pericolosissima, specie per l’ambiente acquatico, a causa della sua capacità di accumularsi facilmente in determinati punti. Infatti, il mercurio è naturalmente inorganico e, già di per sé, in grado di danneggiare numerosi processi cellulari, ma non solo poiché, in assenza di ossigeno, è facilitata la sua transizione alla forma organica («methylmercury»), ancor più pericolosa in quanto in grado di danneggiare pesantemente sia il sistema nervoso degli esseri viventi (ad esempio, nell’ecosistema marino, è stato dimostrato che gli animali in cima alla catena alimentare sono i più sensibili all’inquinamento da mercurio, circostanza che ne ha talvolta provocato la netta riduzione o, addirittura, l’estinzione), sia la catena alimentare in generale. Ad oggi, sia le zone polari, sia le aree più calde del globo sono coinvolte nell’inquinamento da mercurio, classificato come Priority Hazardous Substance dalla European Union Environmental Quality Standards Directive 2013/39 ed ancora presente grandi quantità come inquinante. Il più recente Accordo internazionale che ha adottato un approccio integrativo per la riduzione dell’inquinamento da mercurio, analizzandone la diffusione attraverso fonti differenti, è la Minamata Mercury Convention del 2013. Questo approccio integrato impone agli Stati di adottare politiche di controllo del ciclo della vita della sostanza, dalla sua realizzazione, al suo uso, alla sua emissione nell’ambiente: ad esempio, si richiede l’eliminazione progressiva di prodotti contenenti mercurio come i termometri e le batterie, nonché la riduzione del suo industriale (ad esempio, nella produzione del PVC, un polimero usato per realizzare prevalentemente prodotti plastici). “Aah! Ecco perché non lo trovavo più da nessuna parte! E’ praticamente diventato illegale come i cotton fioc”, affermò scherzosamente cercando di far sorridere sua madre, con scarso successo. “Hai la febbre alta, altro che!” – gli disse la mamma guardando attentamente il piccolo termometro arancione – “Oggi stai a letto, prendi una Tachipirina da 1000 e non stare tutto il giorno attaccato a quel maledetto cellulare!”, gli disse sbrigativa infilandosi il cappotto, pronta ad affrontare una nuova giornata di lavoro. Ma non appena sua madre se ne andò, Gianni prese il telefono ed iniziò a scorrere le notizie, giusto per tenersi aggiornato. Ed ecco che, tra trafiletti di politica, articoli di cronaca e scoop sportivi, un titolo sul quotidiano «La Repubblica» lo incuriosì particolarmente: «Delfini più vulnerabili per il mare inquinato». Iniziò quindi a leggerlo e scoprì, con non poca meraviglia, che, nonostante fosse scientificamente provato da sempre che il morbillo si trasmetta tra esseri umani di sesso maschile, sono stati osservati numerosi casi di delfini deceduti a causa del Morbillivirus, proprio quella malattia infettiva che aveva contratto lui in tenera età. “Ma com’è possibile?”, si chiese. Proseguendo nella lettura scoprì che, dalle analisi effettuate sugli animali, per oltre il 75% delfini emergono i segni dell'inquinamento degli ecosistemi, sia a causa di sostanze chimiche, sia di plastiche di dimensioni anche microscopiche, situazioni preoccupanti da tenere monitorate Una delle principali criticità ad oggi è costituita dall'aumento delle morti per morbillo, specie perché il Morbillivirus dei delfini non è lo stesso umano e la causa della sua diffusione sta probabilmente nell'abbassamento delle difese immunitarie di questi cetacei per l'inquinamento del mare. “Che situazione assurda! Ecco perché alcune sostanze tossiche come il mercurio sono state espunte dal mercato: sono letali sia per gli esseri umani, sia per l’ecosistema!”. Effettivamente, è purtroppo comune che il mare venga inquinato da sostanze tossiche, prodotte da attività umane e spesso disperse nell’ambiente, le quali mettono fortemente a rischio la biodiversità marina e la salute umana. Non essendo neppure il Mar Mediterraneo esente da tali di contaminazioni, anche l’Italia ha giustamente ratificato alcuni accordi internazionali che adottano un approccio integrativo per la riduzione dell’inquinamento come, ad esempio, la Minamata Mercury Convention del 2013. Conclusa dall’Unione Europea con decisione 2017/939 e regolamento 2017/858, la Convenzione è stata recepita con legge italiana 134/2020 con l’obbiettivo di adottare politiche di controllo del ciclo della vita della sostanza, dalla sua realizzazione, al suo uso, alla sua emissione nell’ambiente, al fine di proteggere salute umana ed ambiente da emissioni e rilasci antropogenici di e composti, nonché con lo scopo di ridurre significativamente i livelli di mercurio nell’ambiente, specialmente marino. Tramite il recepimento di tale Convenzione, all’Italia ed all’intera Europa è richiesta altresì l’eliminazione progressiva di prodotti contenenti mercurio, nonché la riduzione del suo industriale.

Accontentata anche questa sua nuova curiosità, Gianni sentiva le palpebre pesanti ed era particolarmente rintontito dalla forte emicrania che lo attanagliava. Decise allora di posare il cellulare e fare un pisolino, sperando di riprendersi in fretta. Non appena si addormentò, fece un sogno strano: era in collina dai suoi nonni paterni e, seduto sul retro dell’ape verde di suo nonno, stava andando a raccogliere l’uva nella vigna di famiglia. Sembrava un caldo giorno di Settembre in cui il Sole, alto in cielo, illuminava gli infiniti filari costellati di grandi foglie verdi e lucidi grappoli d’uva. Era il clima perfetto per vendemmiare. “Che meraviglia!”, pensò. Ad un certo punto, però, assaggiò un acino d’uva è morì avvelenato, vedendo soltanto una nuvola gassosa verde a forma di teschio che incombeva su di sé. Gianni si svegliò di soprassalto, fradicio di sudore e col respiro affannoso. “Mamma santa che sogno assurdo! Sarà l’effetto delirante della febbre”, constatò appoggiando nuovamente la testa sul cuscino umidiccio, pur non riuscendo subito a riprendere sonno perché continuava a pensare a quella nuvola verde ed a quella strana morte per avvelenamento. “Ma certo! Ho sognato di morire per avvelenamento da pesticida!” - esclamò Gianni, fiero del suo intuito investigativo. Effettivamente, il nonno di Gianni gli aveva raccontato, tempo addietro, che pesticidi a base di diclorodifeniltricloroetano, comunemente conosciuto col nome di DDT, costituiscono prodotti sintetici altamente tossici, introdotti nel mercato durante la Seconda Guerra Mondiale per eliminare insetti, vettore di malattie per gli uomini, e, successivamente, usati anche nelle attività agricole per tutelare la produzione, con conseguenze a lungo termine disastrose per l’ecosistema. Infatti, attaccando le fonti di sostentamento, il DDT ed i suoi derivati colpiscono i tessuti sensibili di uomini ed animali, comportando forti intossicazioni, insorgenza di malattie e morte. E’ stata data prova della loro diffusione anche nell’ambiente marino, campo in cui contamina non solo la salubrità delle acque, ma in cui attacca altresì l’integrità degli esseri viventi che le abitano (ad esempio, è stato dimostrato che il DDT ha effetti negativi sia sull’apparato riproduttore di molti animali marini e sui livelli di testosterone, sia sul loro sistema nervoso). Date queste problematiche, sia nel diritto internazionale,  sia nel diritto dell’Unione Europea, gli Stati si sono dotati di normative che limitino l’impiego di prodotti a base di DDT, procedendo, per quanto possibile, verso un uso più sostenibile dei pesticidi, compresso entro i cosiddetti «limiti di legge». “Meno male che il nonno non ha mai fatto uso di alcun pesticida per proteggere i propri filari ed il proprio orticello”, constatò felicemente Gianni. Purtroppo, però, è stato recentemente osservato il netto aumentano di campioni di frutta e verdura in Italia in cui sono state trovate tracce di pesticidi, anche se entro i limiti di legge: infatti, al centro di un’indagine svoltasi nel 2021 ci sono più di 4000 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera, sui quali sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci. In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria più colpita in quanto oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui, con particolare riguardo per l'uva da tavola (88,3%) e le pere (91,6%). Tra gli alimenti trasformati, il vino e i cereali integrali sono quelli con le maggiori percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 61,8% ed il 77,7%. “Ma che schifo!” - esclamò Gianni osservando queste statistiche – “Sostanzialmente, sono alimenti velenosi”, pensò. In realtà, in Europa, l’European Food Safety Authority (EFSA), che si occupa di controllare gli effetti collaterali che i pesticidi hanno sull'uomo, ha considerato alcuni di questi con interferenti endocrini, ossia molecole in grado di interferire con il metabolismo, la sintesi e l'azione degli ormoni, in particolare di quelli tiroidei, sessuali, sia maschili che femminili, ma anche degli ormoni neuroipofisari, come l'ossitocina e la vasopressina, constatando che se presenti a livelli eccessivamente alti, possono provocare, a lungo termine ed in seguito ad esposizione cronica, effetti negativi a livello del fegato, del sistema nervoso centrale e della fertilità. Quindi, ogni pesticida ha il suo effetto sulla salute e il suo livello di assunzione massima tollerabile, per cui generalizzare e considerare tutta la frutta e verdura come nociva è improprio ed esagerato poiché ogni ortaggio ha il suo livello di esposizione, variabile anche a seconda del tipo di coltivazione cui è sottoposto. “Per fortuna esistono dei modi per eliminare o ridurre i pesticidi da frutta e verdura prima di consumarla”, constatò Gianni con tono sollevato. Infatti, è necessario lavare in modo accurato la frutta e la verdura, sotto acqua corrente oppure con un ammollo in acqua e bicarbonato per rimuovere i residui in modo più efficace. L'uso di disinfettanti non è efficace nella rimozione dei residui di pesticidi, ma solo dei batteri eventualmente presenti. Altro ovvio consiglio è quello di rimuovere la buccia dalla frutta e dalla verdura, specie se non si è a conoscenza dell'esatta modalità di coltivazione dell'ortaggio e/o del frutto, andando così a rimuovere quasi totalmente i residui di pesticidi presenti nella parte esterna. “Bene, bene, bene. Quante attenzioni dobbiamo prestare a tutto ciò che facciamo, anche nelle piccole e semplici faccende di vita quotidiana”, pensò Gianni misurandosi nuovamente la febbre che, nel frattempo, non era affatto scesa – “Per fortuna, oggi, grazie ai programmi euro-unitari e nazionali, l’agricoltura biologica è sempre più diffusa, anche se i prodotti hanno un costo non indifferente…”. Prima di rimboccandosi le coperte e crollare in un sonno profondo, fece scorrere ancora un paio di articoli di giornale online, soprattutto perché, nonostante tutto, si stava già annoiando a morte. Navigando su Internet, scoprì che l'agricoltura biologica (BIO) è un metodo agricolo volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali, avendo altresì un impatto ambientale limitato, incoraggiando ad usare l'energia e le risorse naturali in modo responsabile, a conservare la biodiversità, conservare gli equilibri ecologici regionali, migliorare la fertilità del suolo e mantenere la qualità delle acque. “Lo scopo della vita è disinteressarsi a noi stessi ed interessarsi al Mondo che ci circonda”, diceva Rita Levi Montalcini. Le norme in materia di agricoltura biologica favoriscono inoltre il benessere degli animali ed impongono agli agricoltori di soddisfare le specifiche esigenze comportamentali degli animali. I regolamenti dell'Unione Europea sull'agricoltura biologica, automaticamente applicabili in tutti gli Stati Membri, compresa l’Italia, sono concepiti per fornire una struttura chiara per la produzione di prodotti biologici in tutta l'UE. L'intento è soddisfare la domanda di prodotti biologici affidabili da parte dei consumatori, creando al contempo un mercato equo per i produttori, i distributori e i rivenditori. Affinché gli agricoltori traggano vantaggio dai metodi di produzione biologica, i consumatori devono avere fiducia nel rispetto delle norme in materia. Perciò, l’UE mantiene un sistema rigoroso di controllo ed esecuzione per garantire che le norme ed i regolamenti in materia di prodotti biologici siano rispettati correttamente, anche nei settori della trasformazione, della distribuzione e della vendita al dettaglio di prodotti alimentari, in ragione del fatto che l'agricoltura biologica fa parte di una catena di approvvigionamento più ampia. Ciascun Membro dell'UE designa gli «organismi o le autorità di controllo» incaricati di ispezionare gli operatori della catena alimentare biologica. I produttori, i distributori e i rivenditori di prodotti biologici devono registrarsi presso il proprio organismo di controllo locale prima di poter commercializzare i loro prodotti come biologici, dopo l'ispezione ed il controllo riceveranno un certificato che conferma che i loro prodotti rispettano le norme in materia di agricoltura biologica. Tutti gli operatori sono controllati almeno una volta all'anno per assicurarsi che continuino a seguire le regole. Gli alimenti biologici importati sono inoltre soggetti a procedure di controllo per garantire che siano anche stati prodotti e trasportati in conformità dei principi di produzione biologica. Inoltre, per aiutare i consumatori ad individuare più facilmente i prodotti biologici ed agli agricoltori a commercializzarli, è necessario apporvi il logo biologico, simbolo che fornisce un'identità visiva coerente ai prodotti stessi. Attenzione però: nell’ordinamento italiano, l’articolo 517 del Codice penale punisce «chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a Euro 20.000». Dunque, affinché il reato sia integrato, il prodotto dev’essere idoneo a generare equivocità a riguardo dell'origine, provenienza o qualità, senza richiedere alcun atto fraudolento e/o dissimulatorio ma solamente un'attitudine ingannatoria, risultando sufficiente anche un'imitazione generica del prodotto valutata in riferimento al consumatore medio, che, tendenzialmente, effettuando acquisiti con celerità, non presta troppa attenzione alle caratteristiche dei prodotti. Inoltre, vengono alternativamente considerate le condotte di messa in vendita, ovvero di offerta di un bene a titolo oneroso, e di messa in commercio, la quale può essere anche a titolo gratuito, rientrando nella fattispecie anche l'esposizione della merce, l'offerta nei listini e la detenzione in magazzino.

Beh, tornerò a dormire”, disse Gianni chiudendo gli occhi. Ma ecco che fece un altro incubo: era diventato co-proprietario di un’azienda agricola produttrice di pere biologiche insieme al suo migliore amico e gli affari sembravano andar bene finché, ad un certo punto, vide che una massa di persone, infuriate ed armate di fiaccole e forconi, si dirigeva verso di loro intenta a lanciargli i loro stessi frutti. Stavano affogando, travolti dalle centinaia e centinaia di pere che gli venivano lanciate addosso. Dopo un attimo di buio, si ritrovarono in carcere, nella stessa cella, dietro gelide sbarre di ferro, sotto gli occhi inquisitori delle guardie. “Noooo! In carcere no!”, urlò terrorizzato alzandosi di scatto dal letto completamente fradicio. “Gianni tutto bene?”, gli chiese la nonna che, sentite le grida, si era allarmata. Gianni la rincuorò e le raccontò il suo incubo. “Stai delirando: hai la febbre alta, piccolo mio. Riposati. Vado a prenderti vestiti e lenzuola pulite”, gli disse la nonna con il suo solito tono dolce e premuroso. “Ma perché ho fatto questo strano sogno? E’ solo febbrile delirio o c’è un fondo di verità?”, si chiese. Questa volta, Cari lettori, saremo noi a dare una spiegazione a Gianni, troppo spossato per poter fare nuove ricerche. Come preannunciato, secondo il sistema del Regolamento 834/2007/CE, gli operatori, prima di immettere prodotti sul mercato come biologici, hanno l’obbligo di assoggettare la loro impresa al sistema di controllo di cui all’articolo 27. «La natura e la frequenza dei controlli sono determinate in base ad una valutazione del rischio di irregolarità e di infrazioni per quanto riguarda il rispetto dei requisiti stabiliti nel presente regolamento» e gli Stati Membri devono provvedere «affinché il sistema di controllo istituito permetta la tracciabilità di ogni prodotto in tutte le fasi della produzione, preparazione e distribuzione, per garantire ai consumatori che i prodotti biologici sono stati prodotti nel rispetto dei requisiti stabiliti nel regolamento». Tuttavia, il successivo articolo 28, comma 2 lascia agli Stati Membri la facoltà di esentare dal sistema di controllo «gli operatori che vendono prodotti direttamente al consumatore o all’utilizzatore finale, a condizione che non li producano, non li preparino, li immagazzinino solo in connessione con il punto di vendita o non li importino da un paese terzo o non abbiano subappaltato tali attività a terzi». In Italia, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha specificato l’adozione del suddetto Regolamento con la Nota n. 14017 del 20 Giugno 2012, da ritenersi superflua in quanto meramente ricettiva della norma in tutto e per tutto. Dal 1° Gennaio 2021, secondo il nuovo Regolamento 848/2018/UE, l’esenzione del sistema di controllo dell’impresa è direttamente prevista all’articolo 34, secondo cui «gli operatori che vendono prodotti biologici pre-imballati direttamente al consumatore o all’utilizzatore finale sono esentati dall’obbligo di notifica e dall’obbligo di essere in possesso della certificazione del sistema di controllo, a condizione che non li producano, non li preparino o non li immagazzinino se non in connessione con il punto di vendita, o non li importino da un paese terzo o non appaltino tali attività a terzi». Ciò significa che i venditori al dettaglio sono esentati dall’obbligo di certificazione del sistema di controllo.

Detto ciò, qualora taluno vendesse come biologici prodotti che in realtà, secondo la definizione data dalla legislazione europea, non possono qualificarsi come tali, la responsabilità è certamente di tipo amministrativo, ai sensi del d.lgs. del 23 Febbraio 2018, n. 20 sulle disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica. Tuttavia, il fatto potrebbe integrare il reato di frode in commercio di cui all’articolo 515 del Codice penale, aggravato ai sensi dell’articolo 517 bis del Codice penale. Il combinato disposto delle norme penalistiche dispone infatti che «chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065» e che «le pene stabilite sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti». E’ evidentemente sanzionata penalmente la consegna aliud pro alio, brocardo latino che indica la dazione (datio in latino) di qualcosa per qualcos’altro, ossia di un prodotto diverso rispetto a quello concordato o dichiarato. Collocato tra i delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio e posto a tutela il leale esercizio dell’attività commerciale, nel reato di frode, quindi, l’elemento oggettivo del reato è la consegna di un bene diverso. Dunque, la mera esposizione in vendita presso l’attività commerciale, detta offerta di vendita, di prodotti convenzionali falsamente contrassegnati come biologici è un fatto che giuridicamente si arresta sulla soglia del reato tentato ai sensi dell’articolo 56 del Codice penale, secondo cui «chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica». Infatti, secondo la sentenza della Sezione III Penale della Corte di Cassazione n. 44340 del 30 Settembre 2015, tenuto conto del fatto che l’offerta di vendita comporta solo la possibile consegna all’acquirente, il reato di frode in commercio sarà integrato, al più, nella forma tentata. Coerentemente, non sussiste il reato, neppure in forma tentata, se il prodotto non è destinato alla vendita (Corte di cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 24989 del 20 Maggio 2015). Oltretutto, ai fini dell’articolo 515, la diversità del bene deve emergere non tanto dalla denominazione dei prodotti, quanto all’analisi delle circostanze fattuali relative a qualità, tipologia, etichettatura, alla complessiva denominazione ed alle modalità di messa in vendita delle cose in questione. Essendo reato comune, autore materiale della frode in commercio possono essere sia il legale rappresentante dell’attività commerciale, sia i dipendenti, che materialmente hanno posto in essere la condotta di commercializzazione del prodotto, concorrenti o meno nel reato e rispondenti ciascuno alla pena per esso stabilita ex articolo 110 del Codice penale.  Altro e diverso caso si ha invece qualora il fatto sia stato commesso nell’interesse od a vantaggio dell’ente, circostanza in cui è possibile venga contestata la responsabilità penale dell’impresa ai sensi dell’articolo 25 bis del d.lgs. 231/2001, inerente la responsabilità amministrativa da reato: infatti, ove venisse accertata la responsabilità dell’ente, la conseguenza è una sanzione pecuniaria sino a 500 quote, quantificabili in un massimo di 750.000 Euro.

Ecco Gianni, tieni” – disse la nonna porgendogli la biancheria fresca, stirata e profumata di ammorbidente alla lavanda – “Cambiati e rifacciamo il letto. Prima però, assaggia questa: l’ho comprata poco fa dal formaggiaio al mercato. Il mercante mi ha assicurato che è freschissima”, gli disse porgendogli un cucchiaio di ricotta. “Ma sei sicura nonna? Sembra strana…” – disse Gianni storcendo il naso. In effetti, una volta assaggiata, scoprirono entrambi che era rancida: disgustosa! La nonna, oltre a doverla buttare nella pattumiera a malincuore, era arrabbiata e demoralizzata per essere stata raggirata in quel modo così stupido. “Ma adesso mi sente!”, disse prendendo borsetta e cappotto, pronta per fare una bella ramanzina al commerciante nel bel mezzo della piazza del paese. “No nonna, lascia stare. Prima informiamoci con altri compaesani e se hanno avuto i nostri stessi problemi, possiamo denunciarlo”, le disse pacatamente dall’alto dei suoi primordiali studi di diritto penale. Infatti, l’articolo 516 del Codice penale punisce «chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine» «con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032». “Va bene tesoro: facciamo come dici tu”, disse la nonna facendogli una carezza, orgogliosa del suo ometto.

Cari Lettori, cosa abbiamo imparato oggi? Un concetto chiave, quello di interdisciplinarietà, quello di rete di rapporti di complementarità, d’integrazione e d’interazione per cui più discipline convergono in principi comuni: infatti, nel caso di specie, è evidente che le ricadute ambientali siano strettamente legate a condotte penalmente ed amministrativamente rilevanti, e non solo, dato che anche nelle vicissitudini più banali di vita quotidiana sono nascosti riscontri giuridici non di poco conto. E’ dunque d’obbligo che lo studente si apra alle numerose interrelazioni che il Mondo gli offre, sfruttandole a proprio vantaggio per affrontare la realtà che lo circonda.


Federica Repetto