Gianni tra sovranità e servitù
Oggi la scuola è terminata in anticipo e Gianni ne approfitta per passare dal supermercato prima di rientrare a casa, vuole comperare i suoi biscotti preferiti che ha finito la scorsa settimana. E’ un supermercato piccolino che trasmette continuamente musica per accompagnare i clienti nelle corsie e nella scelta dei prodotti.
Quando entra Gianni stanno trasmettendo un vecchio brano e le frasi di J-AX risuonano nella testa del ragazzo come un martello pneumatico: “si esce con la maschera antigas (…) e per entrare in chiesa ci vuole il pass (…) ormai si parla solo tramite internet, e il Parlamento c’ha la sede ad Hammamet, ci si spara nella metropolitana, fra Nord e Sud c’è la dogana, però tutti si veste Dolce & Gabbana (…) Siamo nell’anno 2030, loro controllano televisione e radio, c’è un comitato di censura audio, valutano, decidono, quello che si, quello che no. (…) Questo è l’anno 2030, qui chi pensa è in minoranza, ma non ha importanza, non serve più” (Articolo 31, 2030).
Gianni riflette e frettolosamente ripete ad alta voce che siamo nel 2024 e sembra essersi avverato tutto, meglio di Nostradamus quel J-AX, è più chiaro e le previsioni si sono verificate prima del previsto… Esce con i biscotti e si siede su una panchina del parco.
Vicino a lui è seduto un signore anziano che educatamente lo saluta con un sorriso, il ragazzo ricambia e scopre che si tratta di un professore universitario in pensione che spesso trascorre qualche tempo seduto a osservare i ragazzi che escono da scuola.
E’ molto critico e spiega a Gianni ciò che i suoi occhi rilevano: bassa istruzione nelle materie importanti, ampio utilizzo di schemi e classificazioni, eccesso di formalità, intrattenimento pubblico scadente, promozione dell'auto-indulgenza, violenza, sesso e guerra perennemente nei media. Esplicita il professore provocando: poca istruzione, divertimento di basso livello, occupazione continua della mente in questioni senza rilevante importanza servono a togliere il tempo di pensare, eliminare la creatività, modificare l’opinione pubblica, distrarre dai bisogni con l’intelligenza artificiale, creare confusione e paura per poi offrire la soluzione. Il mainstream ti dice cosa desiderare e te lo fornisce in quantità esagerate, cibo spazzatura compreso.
Chiede poi a Gianni: hai letto la fattoria degli animali di Orwell?
Il ragazzo, come molti adolescenti, ha perso l’abitudine a leggere, gli hanno spiegato che non è più importante approfondire, avere competenze tecniche e scientifiche elevate (hard skills), rileva che lui abbia le soft skills!!!! Ai ragionamenti complessi penserà l’intelligenza artificiale, quei programmi che qualche importante società sul mercato svilupperà per il bene del popolo, lui dovrà limitarsi a risultare empatico, attivo sui social. E… La fattoria degli animali, no, non l’ha letto.
Il professore lo saluta, ma prima di andarsene gli regala un opuscolo di Étienne De La Boétie, La servitù volontaria e, se lo vorrà, gli dà appuntamento tra due giorni, stesso orario.
Sarà perché non gli è stato imposto dalla prof. di italiano o perché quel vecchietto lo ha incuriosito ma quelle poche paginette Gianni le legge e torna a parlare con il professore.
La discussione diventa molto interessante e si incentra su filosofia del diritto e su diritto amministrativo, che roba difficile pensa il ragazzo, eppure l’opuscolo sembrava così semplice!
Trascorrono le ore e si parla di sovranità e libertà per arrivare ad affrontare le novità portate dalla globalizzazione e dall’intelligenza artificiale, soft law e soft skills, la trasformazione dell’università.
Il professore focalizza l’attenzione di Gianni sulle recenti trasformazioni del nostro sistema giuridico: nuove forme di autorità, nuove forme di potere privato, la crisi del principio della rule of law, un decisivo ripensamento del ruolo dello Stato al cospetto del mercato globale.
Il potere perde di autoritarietà, il cittadino si trasforma da suddito a utente e si converte in un bene fondamentale per la catena di produzione e di riproduzione sociale.
Ecco, quindi, l’assunzione di impegno ed elaborazione di programmi per preservarlo, curarlo, educarlo, inculcargli valori e regole morali, frutto di scienze e tecnologie finalizzate al controllo della popolazione produttiva.
Il potere di tipo disciplinare si modifica e sfugge dai controlli. Non necessita più di violenza o azioni costrittive, poiché gli è sufficiente un controllo minuzioso, continuo e completo sul singolo, sulla sua salute, sui suoi tempi di produzione e organizzazione delle attività, esattamente come avviene con l’intelligenza artificiale, a vantaggio pressochè esclusivo di chi detiene e utilizza i dati raccolti.
Si apre ampio spazio alla c.d. soft law: strumenti informali (circolari, linee guida, direttive, orientamenti, raccomandazioni, codici di condotta, raccolte di buone pratiche) volti a influenzare i comportamenti.
E dalla soft law al nudge il passo è breve e ancora una volta ci pensa il mercato ad imporlo. Il nudge è concetto appartenente al campo dell’economia comportamentale: i processi decisionali e i comportamenti di gruppi e individui possono essere influenzati attraverso suggerimenti e rinforzi “indiretti” con un’efficacia pari o superiore a quella che può essere ottenuta attraverso l’imposizione di regole, leggi o istruzioni dirette.
Ti ricordi Gianni i cani di Pavlov? chiede il professore. Il ragazzo prontamente ricorda che Pavlov aveva scoperto che, presentando un certo numero di volte la bistecca a un cane con un suono di campanello, il cane finiva con il produrre salivazione al solo suono del campanello.
Esatto, risponde il professore, bravo: le tecniche di nudging non trattano i cittadini come interlocutori razionali, ma piuttosto come cani di Pavlov, prevedibilmente portati per fattori psicobiologici a rispondere a certi input con determinati output.
Questo lo chiamano metodo democratico, ma non si accorgono che chi induce le reazioni dei cani è un sovrano sconosciuto “della cui bontà non si può avere mai certezza e che ogni volta che lo vorrà potrà mostrarsi malvagio” (É. De La Boétie, La servitù volontaria).
Tristemente il professore ricorda a Gianni che la politica del controllo minuzioso, continuo e completo, che porta a continua regolamentazione (hard o soft che sia), non ha risparmiato nemmeno il sistema universitario che, tra agenzie e formalità, ha perso Maestri e scuole.
Bene ricordava V.E. Orlando: “il sistema di istruzione è un organismo delicato cui il medico può fare più male che bene, si che qualche volta l’astenersi è prudenza”.
E’ oggettiva l’assenza di una vera e propria vita collettiva di studio e discussione scientifica nelle facoltà giuridiche che hanno respinto coloro che erano interessati alla ricerca costringendoli alla sorte dei ricercatori solitari.
Non c’è più continuità, si disperdono risorse ed energie, si perde di vista l’interesse collettivo, si conta sulle persone e non sulle strutture (le uniche stabili). E’ di tutta evidenza la svalutazione del titolo di studio, l’indiscriminata proliferazione degli atenei, l’appiattimento verso il basso degli standard qualitativi dell’offerta formativa: la concorrenza tra atenei è diventata di tipo quantitativo, offrendo, come merce di scambio per le iscrizioni, un più facile conseguimento della laurea.
Il tema della ricerca scientifica non può prescindere dai principi costituzionali sanciti dagli artt. 9 e 33 della Costituzione e dalla conseguente implementazione legislativa, nelle sue coessenziali e faticosamente conciliabili prospettive di libertà personale che l’ordinamento deve garantire e di attività che l’azione pubblica deve promuovere. L’art. 9 sancisce che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, mentre l’art. 33 che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
Nonostante la legge Gelmini (legge n. 240 del 2010) riconosca che: “Le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento e di elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica”, qualcosa non deve aver funzionato.
Il problema resta quello dei rapporti tra scienza e politica, problema di traduzione continua e bidirezionale degli apporti della prima nei fini della seconda, e viceversa.
E’ significativo che nella loro pluricentenaria storia, le università abbiano conosciuto, in Paesi diversi, lunghi periodi di obsolescenza. Nei suoi ‘‘Souvenirs d’enfance et de jeunesse’’ (1883), il grande storico Ernest Renan scriveva che “verso la fine del XVIII secolo, non si andava più alla Sorbona, poichè era risaputo che non si apprendeva gran cosa”. E nessuno dei grandi illuministi era un professore universitario. Ma volgendosi alla Germania del secolo precedente e della prima metà del XIX secolo, osservava: “credetti d’entrare in un tempio”.
L’attuale corpo normativo configura una commistione fra qualità della ricerca, efficienza e sostenibilità economico-finanziaria, quasi ritenendo che tali obiettivi non possano confliggere reciprocamente.
Si è decisamente dimenticato come la ricerca pura, lo sviluppo della conoscenza, non presenta un definito valore economico sul mercato (cioè un prodotto spendibile tra gli operatori economici o le imprese), non contribuisce immediatamente alla competitività, non si vende e non si esporta, può essere definita quasi un “bene pubblico”, ma, tale categoria, pare non interessare più.
Così si sponsorizza ricerca valutata attraverso mediazione burocratica, in forme apparentemente meritocratiche, in realtà frutto di commistione tra politica ed apparati di potere accademico, a scapito della libertà della ricerca.
Le società scientifiche hanno gradualmente perso autorevolezza e ruolo di interlocuzione con gli organi decisionali (politici e tecnici), i professori universitari hanno accondisceso, cedendo di fatto sul terreno della credibilità, dell’autorevolezza, della consapevolezza di sè e del ruolo che la ricerca scientifica svolge per il Paese.
Forse il professore è riuscito a regalare un nuovo sogno per Gianni: liberare gli atenei dall’abbraccio soffocante degli oneri amministrativi e valutativi, convogliare nuovamente le forze docenti e tecnico-amministrative verso le principali missioni dell’Universitas, progettare e costruire ex novo meccanismi di reclutamento idonei a fare selezione seria.
L’applicazione di criteri di economia aziendale ad organizzazioni pubbliche, cioè di criteri propri di una scienza dell'amministrazione indifferente alla natura pubblica o privata del soggetto agente, non può che tradursi nel servilismo della scienza al mercato.
Ecco la diffusione dell'illusione della scelta, la constatazione di come il sistema ti possa rendere schiavo facendoti credere di essere libero. Sarai portato a comportarti come interessa al mercato e a chi ne muove le redini.
Quanti non lo so? Avrò diritto anche io di decidere? Queste le domande del ragazzo al termine del lungo e complesso discorso.
Ma con lo slancio che caratterizza i ragazzi affiora subito una promessa nella mente di Gianni: arriverò più in alto dei falsi dei e questa sarà la terra dei miei fratelli: “Bro, dove ci becchiamo stase?” e Bro o frate acquistano un significato tutto speciale verso una nuova società più umana. Può sembrare una conclusione estrema e superficiale ma le scienze dure se abbandonano il confronto con le scienze umane rischiano di perdere l’uomo per curarsi soltanto del robot.
Barbara Mameli e Giovanni Protto